La scomparsa a 104 anni di Elsie Slonim, ultima civile della zona cuscinetto di Cipro, riporta alla mente il dramma dell’isola nel Mediterraneo orientale, dal 1974 occupata da 50mila militari turchi nel disinteresse più o meno generale. Della questione tornano a resocontare alcuni media esclusivamente per la contingenza legata alle copiose riserve di gas sottomarine presenti in loco, come se drammi personali e sangue copioso versato su quelle terre non fossero da soli sufficienti a produrre indignazione.

Tra le varie occasioni in cui ho visitato Cipro, ricordo benissimo la sensazione che ho provato quando ho deciso di oltrepassare il confine e camminare nella Katekomena, la parte occupata dai turchi. Un check point d’altri tempi, come se in qualche modo il muro di Berlino fosse ancora integro. I sopraccigli in su quando ho mostrato il tesserino di giornalista, resi ancora più spalancati quando hanno visto il passaporto di chi mi accompagnava: quello cipriota dell’archeologo che mi avrebbe mostrato i “segni” della presenza turca e quello greco di mia moglie.

Macchine fotografiche celate in una borsa, pass stampa in bell’evidenza, notizia della visita fatta circolare anche alla nostra ambasciata a Nicosia. Mi ero preoccupato davvero di tutto, nonostante qualche “voce” in quelle ore mi consigliasse di scegliere una meta balneare, più che una così politicamente divisiva.

L’ingresso in quell’area di isola non lo dimenticherò mai: Christodoulos, archeologo e padre di cinque splendidi figli, mi mostrò la chiesa in cui venne battezzato. Ogni tanto, mi raccontò, si recava lì, dove al posto di altari e icone bizantine ci sono macerie, mucche al pascolo ed erbaccia, per dare fuoco ad un santino. E così dare memoria storica alla sua famiglia, al santo di cui porta il nome e ad un’infanzia trasformata, dall’invasore, in guerra e abbandono.

Intere famiglie dovettero lasciare le proprie abitazioni (oltre a fabbriche, negozi, fondi agricoli) quando videro apparire in cielo i paracadutisti turchi. In risposta ad un tentativo di colpo di stato greco, la Turchia inviò a Cipro i suoi militari che però sono rimasti parmenentemente lì.

La Katekomena mi apparve come uno sterminato campo disabitato, abbandonato e rinsecchito. Ma un momento dopo vidi concretizzata l’opera dei turchi in loco. Tutti i simboli di fede non musulmana (quindi chiese e cimiteri ortodossi, maroniti, ebraici) sono stati squalificati o rasi al suolo. Chiese trasformate in bordelli, resort a cinque stelle, stalle con tanto di fieno ed escrementi di animali ammassati senza il minimo pudore per la sacralità di quei luoghi. Fatti immortalati da fotografie, libri e occhi che ancora oggi non dimenticano quello scempio.

Cito, da cronista, alcuni esempi: nel villaggio di Peristerona il monastero di Sant’Anastasia è stato tramutato in una stalla per animali; la cappella di San Evlalios è stata rasa al suolo per puro divertimento; a Lithragkomi, della chiesa di Santa Maria di Kanakaria, risalente al VI secolo, sono rimaste solo alcune pietre di grosse dimensioni; i cimiteri ortodossi di Assia e di Tersia sono stati sventrati dai carri armati turchi; i terreni nella punta settentrionale di Cipro sono stati dai turco-ciprioti venduti a soggetti stranieri (tedeschi) che hanno edificato strutture alberghiere senza preoccuparsi minimamente del diritto internazionale di quella transazione.

Potrei continuare, proprio per spiegare oggettivamente il livello di violenze e prevaricazioni che poco hanno a che fare con la politica o con la spartizione geopolitica. Non era evidentemente il caso di mescolare spregio verso altre culture con decisioni di natura militare. Ma tant’è. Il dramma di Cipro urla (ancora) tutto il suo dolore: ma ad uccidere due volte è chi, ancora oggi, si volta dall’altro lato…

twitter: @FDepalo

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