di Donatello D’Andrea

Mentre le consultazioni di Roberto Fico procedono spedite, sarebbe utile, per un attimo, fermarsi su alcuni numeri molto interessanti che fotografano perfettamente la situazione italiana e la sua cronica instabilità politica, ormai diventata un elemento caratteristico come il Colosseo o la Torre di Pisa.

In 75 anni di storia repubblicana, abbiamo avuto 66 governi e 29 Presidenti del Consiglio. Già questi primi numeri dovrebbero indurre nel lettore un senso di smarrimento politico. E dal 1994 si sono succeduti 16 governi con 10 capi del governo. La loro durata media è stata di 617 giorni, meno di due anni.

La durata complessiva di tutte le crisi di governo innescate dai partiti è di 1510 giorni, cioè più di quattro anni. Quasi una legislatura. Se volessimo fare un confronto con gli altri Paesi a noi vicini, negli ultimi 26 anni la Francia ha avuto 5 presidenti, la Spagna pure e la Germania 3 cancellieri.

Per formare un governo ci vogliono in media un paio di settimane, se si passa dal voto anche 70 giorni. Quando cade un governo, non cadono solo i ministri ma anche tutti gli uomini chiave nei ministeri. Si tratta almeno di mille persone che nel ricambio cercano di mantenere le proprie posizioni, a volte senza riuscirci. La macchina governativa, comunque, per entrare in funzione ci mette almeno 5 mesi.

E le conseguenze non sono soltanto politiche e temporali. C’è il fondo per la ricapitalizzazione delle Pmi, i tre miliardi per le politiche attive per il lavoro, i ristori e diverse centinaia di provvedimenti che rischiano di cadere. Senza contare il Recovery Fund dove il fattore tempo è tutto.

E poi ci sono anche i mercati. Conte piaceva ai mercati, almeno questo dicono i dati. E lo spread con il Conte bis si era abbassato di molto. A dire il vero la situazione è andata leggermente migliorando dal 2011 grazie a una serie di riforme attuate nel corso del tempo. Però i mercati continuano ancora a sentire la pressione dell’instabilità politica, vero tallone d’Achille di questo sistema Paese.

Instabilità che si riflette anche sulle relazioni estere. Negli ultimi dieci anni in ben 87 riunioni del Consiglio europeo si sono succeduti sei Presidenti del Consiglio diversi. In media un premier italiano partecipa a 3 riunioni contro le 10 di un cancelliere tedesco, le 7 di un premier inglese e le 5 di un francese. I continui cambi di governo incidono fortemente sui dossier internazionali e sulla credibilità di un Paese.

Esecutivi deboli, maggioranze instabili e parlamentarismo estremo. Si tratta di tre grandi problemi che, sommati alla cronica carenza di “materia prima” (la classe dirigente) completano il quadro di un Paese che da tempo ha smesso di crescere, arroccato su posizioni di precarietà permanente, foriere di interessi di parte e pedine intercambiabili.

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