Vi ricordate di Oumuamua, il “messaggero che viene da lontano che arriva per primo”?

Il 6 settembre 2017 a.C. (ante Covid), i responsabili del telescopio Pan-Starrs-1 (Panoramic Survey Telescope and Rapid Response System) alle Hawaii lo avvistano che sta entrando nel nostro sistema solare proveniente da Vega, stella distante 25 anni luce. Viaggia alla velocità di circa 32 km al secondo. Nell’avvicinarsi al Sole la sua velocità aumenta, grazie all’accelerazione causata dall’attrazione esercitata dalla forza di gravità della nostra stella.

Il 9 settembre 2017 la sua traiettoria lo porta nel punto più vicino al Sole. Nei giorni successivi, i tanti che lo stanno osservando si aspettano di misurare una diminuzione della sua velocità, visto che si sta allontanando dal Sole e la sua forza di gravità, agendo ora in verso opposto, deve causarne la decelerazione. Banale meccanica celeste in accordo con la legge di gravitazione universale. Invece no. Quando il 7 ottobre passa accanto alla Terra, continua ad accelerare. Di poco, circa 0,000005 m/s², ma Oumuamua accelera. Non rallenta. Strano, molto strano, ma non è l’unica stranezza.

In primo luogo è il primo oggetto interstellare a essere osservato nel suo transito nel nostro sistema solare. Poi la sua forma. Le osservazioni rilevano un oggetto dalla forma apparente di un sigaro, lungo 500 metri e del diametro di circa 40. Non si è riusciti a scattare una fotografia ad alta definizione, però di certo è 10 volte più lungo che tondo. Mai visto prima nulla di simile. Infine è esageratamente brillante, almeno 10 volte più riflettente di qualunque asteroide o cometa conosciuta, come se la sua superficie fosse una lastra di metallo lucido. Misure e dati non confutabili.

Vero, le comete dopo essere passate vicino al Sole accelerano, ma si sa il perché e lo si vede. Quando si avvicinano al Sole la loro superficie si riscalda rilasciando gas, prima congelati, che spingono la cometa come fossero i gas di scarico di un motore a razzo. I gas così eiettati sono visibili sotto forma di coda della cometa.

Oumuamua non è una cometa, almeno non di quelle “convenzionali”: la coda non ce l’ha anche se è stata utilizzata tutta la strumentazione disponibile per trovarla. Niente, non si misura nulla: né gas, né polveri di sorta. Certo, esiste la possibilità che sia una cometa di tipo sconosciuto, ma la probabilità di un evento del genere è stata calcolata in una su un quadrilione, una su un miliardo di miliardi. Piccola assai. Forse troppo.

Cos’è allora Oumuamua? Per saperlo occorre leggere, il 26 gennaio prossimo, la lunga, articolata e molto seria spiegazione oggetto del libro Extraterrestrial: The First Sign of Intelligent Life Beyond Earth (Houghton Mifflin Harcourt), autore Abraham “Avi” Loeb, direttore del dipartimento di astronomia dell’università di Harvard.

La sua tesi è che si ha a che fare con un oggetto non naturale, un artefatto. Oumuamua è un rottame, un relitto. Un pezzo di vela solare di tecnologia aliena. Quello che da lontano sembra un sigaro è un disco di un materiale altamente riflettente dello spessore inferiore al millimetro. La pressione del vento solare sulla sua superficie spiega l’accelerazione. Spiega la dinamica osservata, non più strana. Sappiamo cosa sono le vele solari, le usiamo anche noi.

Loeb aveva suggerito, insieme al collega Shmuel Baily, già tre anni fa la possibile origine aliena di Oumuamua e dopo approfonditi studi, verifiche e approfondimenti, ci ha scritto un libro sopra. Anche per rispondere alle tradizionali conclusioni del “Oumuamua Team of the International Space Science Institute” pubblicate nel luglio 2019 su Nature Astronomy: “Non abbiamo trovato prove evidenti in favore dell’origine aliena di Oumuamua”.

Loeb è di parere opposto: Oumuamua è la prima prova provata dell’esistenza di civiltà aliene, tecnologicamente avanzate. Se ha ragione, forse è giunto il tempo di iniziare a ragionare su come redigere possibili trattati spaziali, alle leggi della astro-economia e alle problematiche cosmo-politiche.

Loeb è convinto della bontà della sua interpretazione al punto di rischiare la sua carriera accademica e scientifica pubblicando un libro, il cui scopo “è motivare la gente a raccogliere più dati quando si presenterà il prossimo oggetto strano”.

Se Loeb ha ragione abbiamo stabilito il primo contatto con una civiltà aliena. A dire il vero lo abbiamo stabilito con la sua spazzatura, ma si deve pur cominciare, no? D’altronde, ricorda Loeb, per capire civiltà passate, archeologi e paleo-archeologi frugano nell’antica spazzatura… Di certo, ha scatenato un putiferio.

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