A due mesi dal rifiuto della prima offerta, il cda di Atlantia dice ancora no a Cassa depositi e prestiti nella trattativa per la cessione di Autostrade. La nuova offerta di Cdp e dei suoi partner Macquarie e Blackstone per l’88% di Aspi, rivista al ribasso anche alla luce di quanto sta emergendo nel corso del processo per il crollo del ponte Morandi, è stata giudicata insufficiente: “Oltre ad essere non vincolante ed inferiore alle attese del Consiglio di Amministrazione, contiene, tra l’altro, una valutazione per il 100% dell’equity value di Aspi inferiore al range indicato dallo stesso Consorzio Cdp nelle precedenti comunicazioni del 19 e del 27 ottobre”, si legge nella nota del cda. Che comunque ricorda come il prezzo offerto sia soggetto “ad ulteriori potenziali aggiustamenti ad esito del completamento della due diligence, che secondo le indicazioni del Consorzio CDP dovrebbe completarsi per la fine di gennaio 2021“. Di conseguenza Atlantia “ha confermato al Consorzio la propria disponibilità a valutare un’eventuale offerta vincolante per la partecipazione detenuta in Aspi, purché, come più volte ribadito in occasione delle precedenti offerte, rispondente all’interesse sociale“.

Una settimana fa Cdp aveva fatto sapere che il cda aveva dato il via libera a Cdp Equity per la presentazione da parte del consorzio di una lettera di offerta non vincolante che aggiornava la precedente “con riguardo, tra l’altro, a risultanze della due diligence in corso, al relativo impatto sulla valutazione economica e all’identificazione del processo e della tempistica per la presentazione di un’offerta vincolante”. La nuova versione della proposta contiene un prezzo rivisto al ribasso e garanzie a rialzo, visto il rischio legato alla richiesta di risarcimenti per il crollo del Morandi. Secondo quanto riportato dal Messaggero la cifra messa sul piatto è inferiore di 400 milioni rispetto al range precedente (8,5-9,5 miliardi). Un livello distante da quello individuato dal fondo azionista Tci, che si colloca tra 11 e 12 miliardi. La Stampa ha riferito invece di un’offerta ancora più bassa, pari a 7,5 miliardi di euro.

Viene inoltre formalizzato il nuovo schema con il controllo ‘italiano’ del veicolo che acquisterà l’88,06% di Aspi: si prevede che la partecipazione in Aspi venga rilevata dal consorzio tramite una BidCo partecipata da Cdp Equity fino al 51% (l’idea è di affiancare a Cassa altri investitori istituzionali italiani) e da Blackstone e Macquarie con quote paritetiche per la parte residua. Nello schema precedente, Cdp avrebbe avuto il 40%, mentre i fondi si sarebbero divisi equamente il restante 60%.

L’eventuale offerta vincolante di Cassa e dei partner esteri è attesa a questo punto non prima della fine di gennaio, cioè al termine della due diligence, posto che si chiuda senza intoppi. In ogni caso arriverà dopo l’assemblea di Atlantia convocata per il 15 gennaio per votare sul progetto di scissione, l’altro percorso avviato dalla holding e poi sospeso per dare spazio alle trattative con Cdp. L’ipotesi di un’offerta di Cdp successiva al 15 gennaio era già stata presa in considerazione dalla stessa Atlantia, che nel board che ha deliberato la scissione ha fissato come termine ultimo per farsi avanti il 31 luglio 2021: entro quel termine ci si potrà sempre fare avanti, e se l’offerta fosse quella giusta, la scissione potrà essere revocata.

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