Ingannata dal suo ragazzo, offesa da due mamme dei giovanissimi allievi, ma anche dalla direttrice dell’asilo che poi l’ha licenziata e ha rivelato a tutti i genitori il motivo della sua decisione: la diffusione di alcune foto e un video privati che, invece, dovevano rimanere segreti, custoditi almeno nella memoria del telefonino del ragazzo. È la storia di una giovane maestra d’asilo, età sui venti anni, di un paese della provincia di Torino, una storia che arriverà presto in tribunale: tre donne devono difendersi dall’accusa di diffamazione, mentre il ragazzo, ormai ex, dopo aver pagato un risarcimento dovrà dimostrare di essersi ravveduto.

Pochi anni fa la giovane maestra d’asilo manda alcune immagini personali al suo compagno dell’epoca. Il ragazzo, anziché conservarle per sé le immagini, le condivide sulla chat della sua squadra di calcetto. La moglie di uno dei suoi compagni scopre le foto e il video sul telefonino dell’uomo e riconosce la maestra del figlio. A sua volta invia i file alle altri madri e, inspiegabilmente, telefona alla maestra per dirle di non denunciare il suo fidanzato (di cui la donna è amica), altrimenti avrebbe informato la direttrice dell’asilo. “Non riuscirà nel suo intento solo per la ferma volontà della vittima di denunciare quanto accaduto”, riassume il sostituto procuratore Ruggero Crupi nell’avviso di conclusione dell’indagine, di cui La Stampa ha dato notizia martedì. La madre dell’allievo, dal canto suo, va dalla dirigente e la informa. Risultato: la maestra viene licenziata, ma questo non è l’unico danno che subisce. La sua superiore informa i genitori le ragioni per cui ha deciso di licenziare la giovane sottolineando che in quel modo “non troverà lavoro manco per pulire i cessi in stazione”.

La maestra, assistita dall’avvocato Domenico Fragapane, denuncia tutto. La questione arriva quindi alla procura di Torino che indaga quattro persone per diffamazione e chiede il rinvio a giudizio. L’ex fidanzato, difeso dall’avvocato Pasqualino Ciricosta, chiede al giudice Modestino Villani la messa alla prova, cioè la possibilità di svolgere dei lavori socialmente utili per un certo periodo (otto ore a settimana per un anno) al termine del quale il giudice valuterà se proscioglierlo oppure processarlo. Per le altre indagate, invece, presto comincerà il processo con un’incognita: se non risarciranno la maestra prima dell’inizio, lei si costituirà parte civile e, alla fine, il conto potrebbe essere ancora più salato.

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