Già, Michael Connelly. Praticamente uno dei re della crime fiction letteraria contemporanea. Non storcete il nasino però. Non fate gli snob. Ci siamo letti tutta La morte è il mio mestiere (voto al titolo: 1), pagine totali 359, ed è un gioiellino. Siamo chiaramente nell’ambito di una struttura di genere. Poche smancerie psicologiche, ambienti un tanto al chilo e storia che fila. Solo che qui fila come un treno. Difficile frenarla se non con qualcuno che suona al campanello di casa propria, sperando non sia il killer che sta rincorrendo il protagonista del libro. Connelly recupera uno dei suoi personaggi storici, il reporter Jack McAvoy, inventato nel 1996, riutilizzato nel 2009 e recuperato ora con una certa baldanza, gettandolo in un vortice di sangue e truffe criminali che fa venire i brividi. McAvoy lavora per un sito web indipendente www.fairwarning.org (esiste davvero!) che è, come da presentazione ufficiale, il “cane da guardia” dei consumatori. Solo che a Jack è rimasto il voglino della cronaca nera con cui ha campato per decenni scrivendo anche libri su veri serial killer. Quando due detective della polizia di Los Angeles gli si presentano sul vialetto di casa spiegandogli con modi spiccioli che è sospettato della morte di una donna con la quale aveva fatto sesso anni prima dopo averla incontrata in un bar, McAvoy proverà a capire cosa c’è realmente dietro lo strano assassinio. Oltre allo scontato omicida seriale che appare verso metà racconto, Connelly cuce trama e ordito attorno ad un complesso e criminale sistema di fuga di dati genetici, smascherando il microproblema che gli serve per far risolvere il caso al suo protagonista (il killer operava nel deep web dove gli venivano venduti profili di dna femminili di donne che si presumevano geneticamente predisposte ad essere ninfomani), ma sollevando anche una questione etica generale mica da ridere ed estremamente attuale: il commercio sottobanco di DNA con la governativa Food and Drug Administration che non fa nulla per regolare l’anomalia. In un continuo palleggio spaziale tra le trafficate strade della bassa California che mantiene comunque al centro la redazione di FairWarning e i suoi pochi redattori, il ritmo del racconto rimane sempre alto e martellante, il filo della detection giornalistico-poliziesca dipanato con equilibrio e maestria (comprimari, testimoni chiave, presunti e mezzi colpevoli trovano sempre battute, tempi e ruoli mai ridondanti), e McAvoy finisce addirittura per ringhiare come un mastino cocciuto contro le ingiustizie socio-politiche quasi fosse un’idealista anni settanta. Voto (con suspense): 7+
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