Una riserva naturale sull’Adriatico, oasi tra le più conosciute e frequentate dai turisti in Puglia. Spiagge, scogli, la torre di avvistamento, il fratino che nidifica. Ogni tanto un fenicottero. Migliaia di visitatori nelle zone consentite e un business a parecchi zeri quello collegato ai parcheggi (privati), attorno a cui si è scatenata negli scorsi anni una guerra di carte bollate. Quella guerra secondo gli inquirenti avrebbe sfumature particolari: Massimo Lanzilotti, sindaco di Carovigno, comune che condivide con Brindisi l’oasi marina, è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa insieme al presidente del consiglio comunale Francesco Leoci. Fanno parte di una coalizione di civiche per lo più di centrosinistra.

L’inchiesta conta in tutto 9 persone: l’accusa principale contestata, ma non ai politici, è di associazione per delinquere di tipo mafioso. C’è anche la corruzione elettorale, ipotesi sorretta da alcune intercettazioni: “Come mi porti la fotografia, io ti do subito 50 euro”, si dice al telefono. Secondo gli inquirenti la conferma dell’avvenuto pagamento di singoli voti. L’avviso di conclusione indagini è stato notificato dai carabinieri che hanno svolto gli accertamenti su delega della Dda di Lecce e della procura di Brindisi. Lanzilotti è accusato anche di corruzione elettorale. Secondo i pm Giovanna Cannarile, Alberto Santacatterina e Paola Palumbo, la Sacra corona unita brindisina avesse fatto votare per lui proprio perché interessata alla gestione dei posti auto delle migliaia di bagnanti e turisti che affollano la riserva tra giugno e settembre.

Tutto ruota attorno alla figura di tre persone: Andrea, Cosimo e Giovanni Saponaro. Il primo fu arrestato nel giugno scorso proprio nell’ambito dello stesso procedimento. Le altre richieste di misura cautelare furono rigettate dal gip per l’insussistenza di gravi indizi e di esigenze cautelari: secondo il giudice l’azione dei tre era stata improntata alla tutela di interessi propri e non legati all’organizzazione criminale, essendo tra l’altro il parcheggio in questione di proprietà privata. Tuttavia Andrea Saponaro è ritenuto, con ruolo di capo e promotore, un referente di zona della associazione mafiosa. E per la procura Antimafia, il sindaco e il politico (Leoci) gli avrebbero promesso supporto: “Si impegnavano a garantire e garantivano gli interessi della famiglia Saponaro nei rapporti con l’amministrazione comunale”. E cioè: “In cambio dei voti procurati dai Saponaro, promettevano di interporre i propri uffici e di mettersi comunque a loro disposizione per favorirne gli interessi economici”. In un’intercettazione, proprio Andrea Saponaro diceva: “Solo con Carmine Brandi (ex sindaco vittima di un attentato, da cui partirono le indagini, ndr) siamo scoperti. Massimo Lanzillotti è sicuro al cento per cento: l’importante è che vince, altrimenti ce lo scordiamo Torre Guaceto noi”.

C’è appunto l’accusa di corruzione elettorale attribuita a due dei Saponaro, al sindaco e a un altro indagato: per i magistrati nel corso delle elezioni comunali del 10 giugno 2018 sarebbe stato offerto ed erogato denaro a numerosi elettori, dei quali non è stata possibile l’identificazione, in cambio del voto in favore delle liste a sostegno di Lanzilotti. Il primo cittadino, difeso dall’avvocato Cosimo Lodeserto, è rimasto in carica e ha sempre difeso il proprio operato. Ha scritto un post su Facebook in cui ha annunciato la ricevuta notifica dell’avviso di fine inchiesta. “Da oggi – ha specificato – decorrono i termini per presentare memorie, produrre e depositare documentazione e anche per rilasciare dichiarazioni spontanee. Il mio auspicio è che si possa fare chiarezza quanto prima confidando sempre nel lavoro autorevole della magistratura e delle forze dell’ordine e rimanendo sempre a completa disposizione di tutte le istituzioni”.

Anche Leoci – il cui fratello, Alessandro Antonio, estraneo alle indagini, è stato eletto recentemente in consiglio regionale nella coalizione di Michele Emiliano – è rimasto al proprio posto, sicuro di non aver mai agito al di fuori della legge e di potersi difendere nelle sedi opportune. Il gip Simona Panzera, del resto, aveva specificato nell’ordinanza di custodia cautelare che non vi era prova di favori fatti alla Scu. In particolare proprio i Saponaro avrebbero agito a titolo personale: “Comprovato dunque l’illecito mercimonio di voti, ordito con il beneplacito del sindaco, non sussistono per contro, elementi da cui inferire una qualsivoglia connessione dell’attività monopolistica su Torre Guaceto – fine ultimo di simile progetto criminoso – con circuiti di stampo mafioso, risultando dagli atti il carattere autonomo degli interessi lucrativi coltivati da Saponaro”, era scritto nel provvedimento. La Dda di Lecce, cinque mesi dopo, ha invece confermato l’intero pacchetto di accuse. Senza sconto alcuno.

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