Nessuno vuole smettere di raccontare quella storia. Anche se i contorni sono ormai sfumati e le immagini sbiadite, anche se i ricordi hanno finito col sovrascrivere la realtà. Perché niente più di una leggenda metropolitana può trasformarsi in granitica certezza. Soprattutto nel calcio. Soprattutto quando si tratta di stringere insieme un’intera comunità. Un concetto che per i 60mila dell’Olimpico è diventato improvvisamente chiaro nel pomeriggio del 17 ottobre 1998. Una giornata anonima come tante che è passata alla storia come la domenica della doppietta alla Fiorentina di Gustavo Bartelt. E pazienza se, in realtà, l’argentino non ha mai segnato neanche un gol.

L’importante è tramandare oralmente quel mito, perpetuare quella narrazione. In quella domenica color ghisa la Viola di Giovanni Trapattoni arriva a Roma da capolista. Perché in quattro partite ha raccolto soltanto vittorie. E l’idea di poter dominare il campionato è qualcosa di più di un semplice sogno. I passetti di Edmundo, le cannonate di Batistuta, la visione di Rui Costa, l’estetica di Oliveira. Quella contro la Roma di Zeman sembra una non partita. Anche perché i giallorossi devono fare a meno di Konsel, di Aldair e di Zago. Solo che il boemo non ha nessuna intenzione di coprirsi per aiutare una difesa burrosa. Anzi, i giallorossi iniziano ad attaccare a testa bassa. Soprattutto sulla fascia sinistra. Soprattutto sull’asse Candela – Totti. E il piano sembra anche dare i suoi frutti.

La Roma ha più occasioni della Fiorentina. La Fiorentina ha occasioni migliori della Roma. Fino al 32’, quando Padalino alza la testa e lancia la palla in avanti. Per quaranta metri. Batistuta si scrolla di dosso Wome, allunga il piede, mette dentro il pallone che vale lo 0-1. Tutto così semplice. Tutto così naturale. La Fiorentina inizia a dominare, a controllare la partita, a far rimbalzare la Roma contro un muro difensivo. Il secondo assomiglia molto a uno psicodramma. Prima l’arbitro Bazzoli espelle Di Biagio, poi fa lo stesso con Candela e Falcone. Il resto della partita si gioca con il cuore in gola e le tempie che pulsano. Fino al 72’, quando Trapattoni decide di richiamare in panchina Edmudo per far spazio a spadino Robbiati. Il brasiliano, che solo qualche giorno prima si era detto entusiasta del suo rapporto col Trap e del dialogo che si era instaurato fra loro due, esce dal campo mitragliando un insulto dopo l’altro contro l’allenatore. È l’inizio della fine.

Zeman, che qualche minuto prima aveva mandato in campo Alenitchev (che poi vincerà la Champions con il Porto di Mourinho) al posto di un ectoplasmatico Gautieri, intima ai suoi di attaccare e di correre qualche rischio. Così a 12’ dalla fine il Boemo richiama in panchina Delvecchio e spedisce in campo Gustavo Bartelt. Con il Lanús ha segnato 13 gol nell’ultimo campionato senza però riuscire a trasformarsi in un nome pregiato del mercato estivo. Anzi, a Roma è arrivato come sesta scelta. Perché Sensi ha inseguito per tutta l’estate Christian, Trezeguet, Batistuta, Montella e Inzaghi. Ma alla fine ha comprato Bartelt per 12 miliardi di lire. È a lui che spetterà il compito di non far rimpiangere Abel Balbo. Si dice che a volerlo a tutti i costi sia stato Zeman in persona. Eppure nella capitale nessuno lo conosce. Il suo procuratore dice che Gustavo assomiglia a Montella per tecnica e per rapidità. L’argentino, invece, è più modesto. “Non mi paragono a nessuno, sono io e basta – dice – Vedrete chi sono pian piano, e vedrete che Bartelt è un bravo attaccante“.

E ancora: “Il mio lavoro è quello di fare gol, li ho sempre fatti e sono convinto di potermi ripetere anche qui”. La sua prima sgambata con i giallorossi non è esattamente da ricordare. La Roma sta battendo 5-0 il Trento in amichevole quando El Facha sistema il pallone sul dischetto. Ricorsa, tiro, niente. L’esordio ufficiale arriva a settembre. In Coppa Italia. “A Verona contro il Chievo segnerò almeno un gol”, giura. E ha ragione. Prima centra una traversa, poi mette dentro un gol che assomiglia a una promessa. In campionato però non riesce a trovare molto spazio. Gioca titolare contro la Salernitana, poi comincia a pascolare più in panchina che nell’area avversaria. Il suo ingresso con la Fiorentina ha le sembianze della classica mossa della disperazione. E invece Bartelt comincia a mettere a terra ogni pallone, a saltellare sulla sfera evitando tacchetti, superando gambe allungate in scivolata.

All’89’ l’argentino cresciuto con il mito di Batistuta riceve la sfera nell’area di rigore della Fiorentina. È tutto defilato sulla destra, ha due difensori addosso. La palla sembra persa, Bartelt invece finta, tocca il pallone con la suola, finta ancora. Fino a mandare in cortocircuito Amoruso ed Heinrich. Poi mette in mezzo per Alenitchev che segna il gol del pareggio. Non passa neanche un minuto e Gustavo si ritrova di nuovo con il pallone fra i piedi in area di rigore. Il controllo è macchinoso, il tiro centrale. Solo che sulla respinta di Toldo si avventa Francesco Totti. È il gol del 2-1. È il gol che fa esplodere l’Olimpico. Bartelt, che a fine partita ha scambiato la maglia con il suo idolo Batistuta, non è più uno scarto. Ora è un giocatore sul quale puntare. Almeno per qualche giornata.

Perché con il tempo l’argentino trova sempre meno spazio, diventa un corpo sempre più estraneo, un reietto. Zeman non lo vede più. La sua stella sì è spenta ancora prima di accendersi. “Dopo la Fiorentina giocai sempre meno e non trovai lo spazio necessario per mettermi in evidenza – ha raccontato al Match Program del Club – Avrei avuto bisogno di maggiore protezione e di qualche bella parola. Venivo da un altro continente, ero completamente spaesato”. L’anno successivo Capello lo mette fuori squadra. Poi durante un allenamento si accorge improvvisamente delle doti dell’argentino. “Fu costretto a vedermi in allenamento – ha ricordato – E come notò i miei movimenti in campo, cambiò subito idea. Mi chiese: ‘Ma perché non ti sei allenato con noi finora?’. Io replicai e gli riportai la versione a me nota: ‘Perché non mi vuole lei, mister, così mi hanno detto’. Lui rispose che non era vero e che mi avrebbe tenuto in considerazione“. Ed è così. Per tre partite. Bartelt gioca qualche spezzone, poi a gennaio inizia il suo giro del mondo. L’attaccante solleticherà le difese avversarie con le maglie di Aston Villa, Rayo Vallecano, Gimnasia La Plata, Talleres, Gimnasia Jujuy, segnando un solo gol nei successivi 8 anni. Niente male per un attaccante che viene ricordato solo per una doppietta. Una doppietta che in realtà non ha mai segnato.

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