“Allora, Antonio, ci sono tante cose da chiedere: chi sei innanzitutto? Che fai? Come vivi? Dove sei cresciuto, a Casarano?”. A parlare è il giudice per le indagini preliminari Michele Toriello. Di fronte a lui è seduto Giovanni Antonio De Marco, il 21enne accusato di aver ucciso a Lecce, il 21 settembre scorso, Daniele De Santis ed Eleonora Manta. Nella sua ordinanza emessa dopo l’interrogatorio, il magistrato scriverà chiaramente che si è trattato di un duplice omicidio “lucidamente pianificato e perpetrato con eccezionale crudeltà, senza peraltro alcuna alcun serio motivo scatenante, con l’uso di un’arma micidiale e con la progettazione di un ulteriore e raggelante corredo di condotte crudeli ed atroci” come “la preventiva tortura delle vittime; il messaggio da scrivere sul muro, evidentemente con il sangue delle vittime, non avendo il De Marco portato con sé alcuna bomboletta di vernice”.

Nel corso di dell’interrogatorio, però, il gip Toriello segue una strategia chiara: assume inizialmente un atteggiamento accomodante per poi incalzarlo pian piano. Le domande iniziali sembrano una chiacchierata serena: le domande del magistrato appaiono come quelle fatte in buona fede per conoscere la persona che ha di fronte. Quesiti che mirano a capire stato d’animo, disagio, motivazioni di chi ha commesso un delitto brutale. “Ho visto che frequenti il corso per infermieri”, gli dice e poi indaga in modo soffice sul suo passato: “Come andavi a scuola, andavi bene?” e “Materia preferita?”. E ancora film e libri. Fin da subito le risposte di De Marco si mostrano vaghe e confuse, a tratti indecifrabili. Il giudice vuole capire se si tratti di confusione delirante o di una precisa strategia. Accenna al suo corso di laurea triennale per diventare infermiere chiedendo: “Ti sta interessando? Ti sta piacendo?”. Il dialogo, però, è quasi unilaterale: il 21enne risponde a monosillabi. In alcuni passaggi ripete le ultime parole delle domande, quasi a voler compiacere l’uomo che gli sta di fronte. Ma il gip Toriello, all’inizio, lascia la porta aperta dicendo “dopo se vuoi parleremo di quello che è successo” e quando il giovane accetta di rispondere a quelle domande, il magistrato sottolinea: “È una tua libera scelta, non ti sentire forzato”.

Col passare dei minuti, però, De Marco resta chiuso nei suoi troppi “non so” e “non ricordo”. Quando il giudice chiede perché proprio Daniele ed Eleonora, il 21enne sembra minimizzare: “Non lo so, forse perché loro erano felici, mi sembravano felici”. La risposta non basta. “È un po’ pochina come risposta, Antonio, lo hai già detto ai pubblici ministeri questo, ma, insomma, non mi sembra una risposta coerente con il tuo personaggio. Tante gente intorno a te era felice…”. E più avanti aggiunge: “Non c’è un motivo. Diamo per assodato che hai scelto di colpire loro, hai iniziato a pianificarlo il delitto, no? Qui non mi rispondere “non lo so”, perché questo lo sai e lo sappiamo che lo sai, ci sono le tracce”. Il magistrato comincia a incalzare, fa riferimento ai bigliettini sui quali aveva dettagliato il piano: “Quando hai iniziato a pianificarlo? Non mi dire che non lo sai perché si tratta di gesti precisi”. L’atteggiamento del giovane, però, non varia. “Non so, non ricordo”.

Toriello lo mette pian piano alle strette: “Mi vuoi far credere che questo biglietto tu lo hai scritto stando a casa? Mentre eri a casa vedendo Google Maps?”. E alla risposta affermativa sbotta: “Insomma, mi sembra una puttanata questa, Antonio”. Infine, manifesta chiaramente la sua idea: “Mi sto sbagliando? Mi sembra che tutte le cose che non sai spiegare hanno tutte un’unica spiegazione. Che dici? Rifletti anche su quello che ti ho detto, una confessione così vale poco, cerca di essere preciso, completo, di farci capire. Noi non vogliamo crocefiggerti, noi vogliamo capire. Se tu prima di restituire le chiavi fai un duplicato non sei uno stupido, non sei uno sprovveduto. Se tu prima di restituire le chiavi fai un duplicato il motivo può essere uno solo, il controllo di cosa?! Il motivo può essere uno solo, no? Volevi andare a rubare?”. De Marco risponde: “Forse volevo entrare”. E il magistrato incalza ancora: “Antonio, non c’è un ‘forse’, quando una persona compie un gesto prima del gesto c’è una idea, c’è un pensiero, c’è un piano, c’è un programma, non è che siamo animali, no? Le persone agiscono sulla base di impulsi che passano dal cervello, nel cervello ci stanno le idee, le motivazioni” (…) insomma, te l’eri pensata in un certo modo, no? Tu non hai detto: “Vado lì e li ammazzo!”, ti sei fatto un… hai fatto una bella sceneggiatura”.

Il 21enne ritorna sulle sue idee confuse, ma Toriello non si ferma: “Ma che confuse, Antonio! Le persone confuse non fanno quello che hai fatto tu, le persone confuse fanno casino, tu hai… tutt’altro che confuse! Preciso, Antonio! Tutt’altro che confuse, dov’è la confusione?! (…) Voglio dire, sono venticinque anni che faccio questo lavoro, ne ho visti tanti…”. In alcuni dettagli, come quella di scrivere qualcosa sul muro, il giovane reo-confesso accenna che poteva essere “una idea di vendetta forse”, ma Toriello sembra volerlo riportare alla realtà: “Antonio, la vendetta si consuma così, ti vuoi vendicare di una persona e la fai fuori, la fai soffrire, non scrivi sul muro. Che cazzo scrivi a fare sul muro?! Ti sei già vendicato! Se lo scrivi sul muro ci hai un pensiero in più che ti passa per la testa, o no? Non sei d’accordo con me?”.

E a quel punto il 21enne sembra per un attimo dischiudere le porte sul suo abisso: “Alcune volte scrivevo delle cose che però non c’entravano neanche, erano un pensiero che magari mi poteva venire sul momento, alle volte mi scrivevo un post di cose che non erano correlate a… magari anche un appunto, così, non lo so, sul ricordare di fare una cosa. Anche cose tipo tenere pulita la camera, così”. E aggiunge che era un’abitudine “una regola per attenermi per cercare di gestire un attimo le cose, un pensiero buttato… alle volte trovo magari… ripeto, è confuso perché ci sono dei periodi in cui alle volte non ricordo bene che cosa di preciso stavo facendo prima. Alle volte, non lo so, entro in una stanza e non ricordo il motivo per cui ci ero entrato e ci entro più volte, prendo più volte le stesse cose e le porto da una stanza all’altra”. Infine il magistrato valuta la possibilità che ci sia stato rimorso o pentimento chiedendo se avesse pensato di costituirsi. Le risposte del giovane sono contradditorie. “Speravi di farla franca, diciamo”, chiosa il magistrato. De Marco dice di no: “No, non credevo che l’avrei fatta franca”. Ma poi si contraddice quando il giudice chiede: “Cioè, tu sei andato lì pensando di poterla fare franca?”. “Sì”, risponde il 21enne. Il giudice Toriello, a quel punto comprende c’è non c’è molto altro da aggiungere: “Va bene. Per me è sufficiente”.

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