di Paolo Di Falco e Marta De Vivo

Molte volte abbiamo pronunciato frasi del tipo: ”una donna non si tocca”, “una donna è libera di scegliere”, poche volte però abbiamo confrontato queste frasi con la realtà del mondo che ci circonda. In queste settimane si è infatti ricominciato a parlare di aborto, per molti ancora un tabù o “un grave peccato”.

Ricordiamo innanzitutto che l’aborto in Italia è regolato dalla Legge 194 approvata, a tutela delle donne, nel 1978. Qualunque sia il pensiero di ognuno, ci sembra innanzitutto importante ribadire che una donna è libera di scegliere cosa fare del suo corpo, una frase che non deve essere semplicemente uno slogan ma che deve diventare una realtà di fatto.

Detto ciò, secondo voi è normale che i feti abortiti siano seppelliti in un cimitero attraverso una celebrazione religiosa all’insaputa della madre? Purtroppo non è un caso isolato, infatti il tutto è legale e va avanti da più di vent’anni. Solitamente dopo 24 ore dall’aborto, se non c’è alcuna richiesta particolare della madre che purtroppo spesso non viene informata e non è assolutamente consapevole, comparirebbero varie associazioni religiose che grazie ad accordi con gli ospedali dispongono del “prodotto abortivo” e sono libere di svolgere anche una cerimonia religiosa per seppellirlo.

Riti che definire religiosi è un eufemismo, riti veramente macabri in cui vi sono processioni verso i cimiteri, preghiere, benedizioni e letture di passi evangelici. Insomma un vero e proprio corteo funebre che avviene all’insaputa della madre, che ritrova spesso anche il proprio nome scritto in una croce accanto a nomi attribuiti ai feti, altro che privacy.

Vi sembra giusto che le donne per cui l’aborto, a differenza dei vari giudizi, è una scelta molto sofferta debbano subire anche una sorta di umiliazione religiosa? Com’è possibile che la tolleranza sia qualcosa di unidirezionale? Tolleriamo i comportamenti religiosi e però come risposta ci troviamo di fronte a veri e propri giudizi morali.

E’ davvero paradossale come in una società avanzata come la nostra, in cui dovrebbe trionfare la parità di genere, ci troviamo di fronte a giudizi ed episodi simili, che non fanno solo male alle donne, ma anche a tutti noi che crediamo in una società fondata su diritti e doveri, sulla libertà dell’uomo e non su un atteggiamento di condanna medievale. La libertà di poter decidere per sé, quindi scegliere se diventare madri o meno, viene violata. Solo il fatto di professare un rito “a porte chiuse”, così all’insaputa delle donne che hanno intrapreso questa scelta, è deplorevole.

Alla base vi è l’incapacità di comprendere che certe scelte sono difficoltose, fatte tutt’altro che a cuor leggero; scelte che necessitano di umanità, rispetto, silenzio, di certo non di sventolare di fronte a tutti in un cimitero il difficile passo che molte donne hanno dovuto compiere.

Ultimamente la parola “rispetto” la stiamo dimenticando: ogni anno vengono praticati 80mila aborti in Italia, non è pensabile che ancora oggi ci sia chi intraprende delle decisioni per queste 80mila famiglie, donne, uomini. Non ne ha diritto, mai lo avrà, ed è bene che qualcuno cominci a ricordarglielo perché la libertà è una cosa seria e non può essere violata in un modo così pietoso.

Tra l’altro l’aborto è una pratica ancora considerata tabù in alcuni paesi della stessa Ue, ad esempio in Polonia, nota per promuovere leggi contro l’aborto. Difatti a dicembre 2019 migliaia di donne provenienti da tutta Europa si sono riunite per sostenere il diritto di altre donne ad abortire, attraverso informazioni, soldi, supporto psicologico o anche ordinando per conto loro pillole abortive.

La Polonia è ad oggi il paese con le leggi più dure in Europa sull’aborto: è possibile abortire solo in caso di stupro, pericolo di vita o anomalie del feto. Alcuni gruppi conservatori in Polonia vorrebbero modificare anche quest’ultima legge, rendendola ancora più dura di quanto già non sia.

Alla luce di questa situazione che mette al bivio anni e anni di lotte per i diritti delle donne, crediamo sia necessario prendere atto del fatto che alcuni gesti, anche se fatti “a fin di bene”, possono rivelarsi controproducenti e nocivi a quella che è una vera e propria battaglia che ancora oggi non possiamo dire di aver vinto per davvero, una volta per tutte.

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