Camille Claudel, una erinni del Novecento che modellò la sua furia sul marmo, un cognome affermato non dal suo talento ancora acerbo ma da quello dello scrittore francese Paul, suo fratello. Allieva, musa, amante (ripudiata) del maestro Auguste Rodin, più vecchio di lei di 24 anni. Mancate promesse di matrimonio, lei aspetta un figlio da Rodin ma lui la costringe ad abortire. Lacrime e sangue. Intreccio psicanalitico dagli effetti devastanti anche con una madre castrante.
Quando basta perché la fragile Camille entri in un sanatorio nel 1913. Non era pazza, il suo era solo mal d’amore, ma lo diventerà nel calvario da una manicomio all’altro, per 30 lunghissimi anni. Morirà e sarà seppellita in una fossa comune, nessuno della sua ricca famiglia ne reclamò i resti. Anzi alla morte del padre si divisero la sua quota d’eredità. La bellissima performance “Camille” in scena in anteprima nazionale al Teatro Bellini per il Napoli Teatro Festival coniuga musica, danze e arte multimediale grazie alla coreografia e all’adattamento di Francesca Gammella. Le parole dure come pietre della Maraini mostrano l’eroina in tutta la tragicità. Si è trattato di un lento e inesorabile “femminicidio”.
La scena si svolge in un non-luogo, tra figure plastiche in movimento, e trova il suo culmine nella video installazione che raffigura La Valse, la scultura della maturità artistica di Camille, forse la più riuscita delle sue opere, espressione concreta di una danza di amore e morte in una spirale tragica. E dunque dal valore profetico. Camille è riuscita a modellare la materia, lì dove non è riuscita a plasmare la sua vita. E solo nel 2017 si è inaugurato il primo museo al mondo a lei dedicato a Nogent-sur-Seine, luogo felice della sua adolescenza. Uno dei pochissimi della sua tormentata esistenza.
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