Donald Trump, rientrato alla Casa Bianca dopo il ricovero per Covid, ha dato ordine ai suoi di fermare fino alle elezioni le trattative con i democratici su un nuovo pacchetto di aiuti alla popolazione perché “dopo la mia vittoria approveremo una grande legge di stimolo“. Per lo sfidante Joe Biden “ha voltato le spalle agli americani”. Che, nonostante la propaganda delle statistiche occupazionali parzialmente smentite dalle istituzioni stesse, hanno sempre più difficoltà a coprire spese di base come quella della casa. In mancanza delle protezioni normative si moltiplicano gli sfratti, e al tempo del coronavirus la condizione dei senza tetto è già diventata esplosiva. In California si sperimentano misure temporanee come la trasformazione degli hotel in alloggi per gli homeless. E la questione abitativa rischia di diventare il primo duro banco di prova per il prossimo presidente.

Il Cares Act, che aveva garantito un cospicuo aumento dei sussidi di disoccupazione e 1.200 dollari ad ogni americano, è scaduto a fine luglio. Con il voto ormai alle porte, l’approvazione di un nuovo pacchetto di aiuti caldeggiato anche dal presidente della Fed Jerome Powell è ostaggio della tattica elettorale. I democratici, che controllano la Camera, avevano proposto un nuovo Heroes Act da 2,2 trilioni di dollari, 1 trilione in meno della precedente proposta. Lontano dalla volontà di spesa dei repubblicani che controllano il Senato e la Casa Bianca e non intendevano dare il via a un pacchetto che superasse 1,5 trilioni di dollari. Questo fino al coup de théâtre di Trump, che ha bloccato tutto. Si dice in compenso pronto a firmare un nuovo ordine esecutivo dopo quelli firmati ad agosto, che però non hanno portato liquidità nelle tasche dei contribuenti.

Le statistiche ufficiali dicono che negli ultimi mesi gli americani sono ritornati in gran parte al lavoro. Ad agosto la disoccupazione si è ridotta dal 10,2% all’8,4 per cento. Ma le nuove assunzioni sono rallentate. A luglio i posti di lavoro erano cresciuti di 1,7 milioni, ad agosto le nuove persone al lavoro sono aumentate di 1,4 milioni. I disoccupati, secondo il Bureau of Labor Statistics, si sono invece ridotti di ben 2,8 milioni. Come è possibile? La risposta va ricercata nelle metodologie di calcolo. Come in Italia, la misura della disoccupazione è basata su interviste in cui viene chiesto alle persone se abbiano cercato attivamente lavoro nelle ultime quattro settimane. Se una persona dichiara di non aver cercato un impiego o non ha potuto lavorare nel breve periodo per ragioni familiari, ufficialmente è fuori dalla forza lavoro. E se è fuori dalla forza lavoro, non può essere disoccupata.

Le diatribe sui dati dell’occupazione vanno avanti dallo scorso maggio, quando furono registrati ufficialmente 21 milioni di disoccupati, a fronte di quasi 30 milioni di assegni di disoccupazione. Tra questi si segnalavano interruzioni temporanee di lavoro, diventate permanenti a causa dell’emergenza, lavori part-time che in alcuni Stati consentono di avere accesso ai benefit della disoccupazione, e congedi e aspettative, i cui titolari erano considerati “occupati ma assenti dal lavoro”. Il Bureau of Labor Statistics ha riconosciuto diversi errori di conteggio e classificazione, ma ha lasciato inalterati i propri dati. A maggio, per esempio, la disoccupazione è stata ufficialmente in calo al 13,3%, dal 14,7% di aprile. Secondo il centro di ricerca Brookings, tuttavia, il tasso avrebbe dovuto superare il 17%, avvicinandosi a quanto previsto dal consensus degli economisti. Non una mera disputa accademica o ideologica, bensì una differenza sostanziale nell’interpretazione della realtà, che a giugno portò il Congresso a ritardare il rinnovo degli aiuti, e Trump a celebrare i mesi a venire, predicendo “un luglio molto buono, un agosto molto buono e un settembre spettacolare”.

Le difficoltà in cui versa il Paese a stelle e strisce si rivelano oggi sulla questione della casa, per la quale agosto è stato un mese sintomatico. A fine luglio sono scadute le disposizioni del Cares Act che, bloccando gli sfratti e garantendo i sussidi, ha evitato che molte famiglie finissero in strada. Nelle scorse settimane un ordine esecutivo firmato da Trump ha promosso una moratoria contro gli sfratti per tutto il 2020 per coloro che guadagnano meno di 99.000 dollari all’anno e rispondono a determinati requisiti. Una misura palliativa che non è accompagnata da sussidi per sostenere il peso degli affitti. Ma è bastata per fermare l’ondata di sfratti che era partita nelle settimane precedenti, secondo quanto registrato dalle indagini dell’Eviction Lab dell’Università di Princeton che estrae i dati dai registri dei tribunali, e monitora la situazione in 17 grandi e medie città, tra cui Houston, Phoenix e Boston. Nella finestra temporale in cui è mancata la protezione normativa gli sfratti si sono impennati, secondo i ricercatori. A Richmond, per esempio, le dichiarazioni di sfratto registrate nella prima settimana di settembre sono state oltre quattro volte quelle normalmente osservate negli anni scorsi.

Nella seconda metà di agosto, ha rilevato il Census Bureau, più di un quarto degli affittuari ha dichiarato di non pensare di riuscire a pagare il mese di settembre. Il Centers for Disease Control and Prevention, agenzia federale che si occupa di sanità e servizi alla persona, e il Department of Health, si occuperanno del rispetto della nuova moratoria, per evitare che le famiglie sfrattate vadano a vivere in strada durante una pandemia non ancora sotto controllo. Una situazione potenzialmente esplosiva, che prende avvio da lontano e che senza un nuovo pacchetto di aiuti vedrà gli sfratti essere solo rimandati. Nel 2016 sono stati 3,7 milioni, sette ogni minuto, al netto degli allontanamenti informali o illegali. Secondo la National Coalition for the Homeless, 20 milioni di americani già prima del Covid spendevano tutto quello che guadagnavano ogni mese e in caso di imprevisti erano esposti al rischio di ritrovarsi senza casa a un certo punto della vita. Con la pandemia il numero può aumentare di molto.

In California negli ultimi anni il numero delle famiglie senza casa è cresciuto moltissimo e nel rapporto “The State of Homelessness in America” diffuso nel settembre 2019 dal Council of Economic Advisers della Casa Bianca venivano sottolineati i problemi che affliggono in particolare Los Angeles, imputando la responsabilità per la delicata situazione alle amministrazioni locali democratiche, auspicando un’azione più decisa da parte delle forze dell’ordine. Nel rapporto si affermava che “politiche tese ad arrestare persone solo perché sono senza tetto sono sbagliate e disumane. Allo stesso tempo la polizia può avere un ruolo importante per aiutare a rimuoverle dalle strade per andare in centri di accoglienza”.

L’opportunità di una tale politica quest’anno è stata superata dall’emergenza sanitaria, che ha posto nuovi problemi, ma ha favorito anche nuove idee. Lo scorso aprile il maggiore centro di accoglienza di San Francisco si è trasformato in un focolaio, registrando più di 100 persone tra ospiti e staff positive al Covid-19. Ma in qualche modo era già pronta una soluzione, con il progetto Roomkey, poi diventato Homekey, lanciato dal governatore della California Gavin Newsom la settimana precedente. Tale programma, che utilizza i fondi del Cares Act, intende trasformare camere di albergo in alloggi permanenti per i senza tetto, e in poche settimane è diventato operativo: al momento raccoglie 16.500 stanze, di cui 11.600 già occupate. Un’idea sostenuta da organizzazioni e gruppi di advocacy, che nel frattempo hanno promosso la campagna “No Vacancy California”, per offrire un alloggio a tutti gli oltre 151.000 senza tetto californiani.

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