Mascherine vendute a somme esorbitanti, con rincari fino a 11 volte il valore di mercato, accumulate in quantità tali da turbare il naturale andamento dei prezzi. La procura di Genova è pronta a chiedere il rinvio a giudizio per le aziende di import-export e i commercianti che nel pieno dell’emergenza Covid, quando i dispositivi di protezione erano un bene introvabile, avrebbero lucrato sulle scorte gonfiando i prezzi all’ingrosso e al dettaglio.

Decine gli avvisi di conclusione indagini recapitati a farmacisti, tabaccai e altri rivenditori del capoluogo ligure. I reati ipotizzati sono frode in commercio e rialzo fraudolento dei prezzi: quest’ultima ipotesi, contestata agli importatori ma anche ad alcuni tra i rivenditori più grossi, riguarda i casi in cui la quantità di mascherine incamerate e vendute a peso d’oro è stata ritenuta capace di influire sui valori di mercato. Un’eventuale condanna – la pena prevista reclusione fino a 3 anni e una multa fino a 25mila euro – comporterebbe l’interdizione dai pubblici uffici e quindi la sospensione della licenza per i farmacisti, che nell’esercizio delle proprie funzioni hanno la qualifica di incaricati di pubblico servizio.

Secondo gli investigatori, i commercianti raccoglievano il maggior numero di mascherine possibili: c’erano farmacie di quartiere con decine di migliaia di pezzi accatastati in magazzino, numeri ben superiori al proprio bacino d’utenza. In questo modo – è la ricostruzione degli inquirenti – si garantivano il dominio del mercato e la possibilità di alzare i prezzi a proprio piacimento. In particolare, scrive Il Secolo XIX, a cinque farmacie sono contestati rincari che andavano dal 300 fino al 1000%. L’indagine, coordinata dal pm Patrizia Petruzziello, nasce dagli accertamenti del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Genova, che dall’inizio dell’emergenza avevano scandagliato pagine social, farmacie, parafarmacie e altri esercizi (compresi negozi che non avevano mai venduto dispositivi medici in precedenza) alla ricerca di elementi anomali, perquisendo i magazzini e acquisendo i documenti relativi alle importazioni.

Fiamme Gialle e Agenzia delle Dogane avevano così sequestrato milioni di mascherine, poi messe a disposizione di Croce Rossa, Protezione civile e ospedali regionali dietro pagamento di una “indennità di requisizione” leggermente inferiore al prezzo di mercato. I ricavi ottenuti dallo Stato con la vendita sono stati accantonati su un apposito conto corrente, in modo da poter essere restituiti agli imprenditori se i presupposti del sequestro si riveleranno inesistenti. Le difese degli imputati obiettano che erano le stesse farmacie a dover sborsare molti più soldi del normale per ottenere i dispositivi, perciò la rivendita “gonfiata” non sarebbe stato altro che un modo per rientrare dell’investimento. Contestano, inoltre, l’insussistenza del reato di rialzo fraudolento dei prezzi, in quanto non ci sarebbe la prova che gli imprenditori abbiano agito allo scopo di turbare l’andamento del mercato.

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