Che avrebbe vinto Nomadland era piuttosto scontato. Del resto i concorrenti del film della sino-americana Chloé Zhao non erano certo all’altezza di sfidarlo. Il 77esimo Festival del Cinema di Venezia si è concluso, comunque, con una vittoria comune a tutti, ovvero affrontare con le dovute precauzioni il Covid celebrando nel contempo il cinema.

L’app Boxol, per prenotare le proiezioni con il cellulare o il pc – per accreditati (obtorto collo dimezzati) e pubblico – ha funzionato bene (anzi, si potrebbe utilizzare anche nelle future edizioni…). Certo, non abbiamo visto capolavori indimenticabili, ma, considerando la crisi del mercato cinematografico, non possiamo lamentarci.

La cerimonia di premiazione, tenutasi nella Sala Grande in mascherina e poltrone distanziate, ha peccato un po’ di retorica, soprattutto a causa del lungo, sfibrante discorso iniziale della madrina Anna Foglietta. L’ingresso sul palco di Cate Blanchett, presidentessa della giuria, vestita da farfalla, ha comunque riportato il tutto a una dimensione fascinosa e internazionale laddove il red carpet è mancato.

Ognuno ha ringraziato a modo suo: il figlio di Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, Pietro, che ha presentato I predatori, prima opera come regista, pur di essere originale a tutti costi, ha esordito, al momento di ricevere il premio per la miglior sceneggiatura del settore Orizzonti, con un “solo gli infami e i traditori sono bravi nei ringraziamenti”. Tanto che, poco dopo, Pierfrancesco Favino, vittorioso come miglior interprete maschile di Padrenostro (pessimo il film, lui bravo come sempre e che ha mantenuto le basettone anni 70 che esibiva nel film), ha giustamente ribattuto alla gaffe del collega: “Spero di non essere infame ringraziando”, proprio lui che, lo scorso anno, ha interpretato magistralmente il superpentito Tommaso Buscetta ne Il traditore di Marco Bellocchio.

Molti hanno ringraziato da remoto: da Pasadena, ad esempio, Francis McDormand, protagonista del vincente Nomandland, insieme con la regista Zhao, entrambe in ciabatte e appollaiate sulla porta del furgone visto nel film. Ha detto: “Thank you for the Golden Lion” (e ha imitato il ruggito leonino). E Zhao (tradotta): “La prossima volta che vedete una persona in un vicolo non abbiate paura, fategli un sorriso”, riferendosi ai personaggi border-line del suo road-movie. Quanto di meno retorico si possa immaginare.

Il maestro russo Andrej Končalovskij, forse il solo che avrebbe potuto competere con Nomadland con il suo Dorogie tovarišči (Cari compagni), ha compitamente dedicato il Premio speciale della giuria ai suoi genitori, mentre Vanessa Kirby, sempre bellissima, ha ritirato la Coppa Volpi come migliore protagonista femminile di Pieces of a Woman (film con una atroce scena di parto, così realistica da far pensare che fosse vera). Anche lei s’è dilungata un po’ troppo, ma, del resto, aveva diritto a tempo doppio perché è stata protagonista a Venezia anche di un altro film in concorso, The World To Come (storia di contadine, divenute lesbiche per solitudine e incomprensioni coniugali, nell’America del 1856).

Con la consueta ritualità orientale hanno ringraziato la giuria, con modi giapponesi, Kiyoshi Kurosawa, Nastro d’Argento per la regia di Supai no tsuma (Moglie di una spia) e, con dolcezza indiana, da Mumbai, Chaitanya Tamhane, miglior sceneggiatura per il suo The Disciple, recitato in marathi con sottotitoli e musica classica indiana a profusione, condita da un paio di masturbazioni del protagonista di fronte a un film porno di Ed Powers (almeno così mi è parso…). L’iraniano Khōrshīd di Majid Majidi, ha fatto emergere il ragazzino Rouhollah Zamani in una storia con quattro adolescenti di strada in cerca di un tesoro nascosto in una fogna, del quale qualcuno ha scritto: più adatto al concorso di Giffoni che a quello della Mostra.

E ancora il messicano Michel Franco che ha ritirato il premio per Nuevo Orden, bel film, cattivo al punto giusto, che narra di un violento sequestro, durante una festa di nozze di borghesi benestanti. Di premi minori si sono dovuti accontentare i film italiani di Rai Cinema, il cui presidente, piuttosto amareggiato, ha dichiarato: “Non possiamo non essere dispiaciuti e un po’ delusi”, riferendosi a Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, Notturno di Gianfranco Rosi e Le sorelle Macaluso di Emma Dante. Bisogna saper perdere, avrebbero detto i Rokes.

Per la verità, il film che più ho apprezzato quest’anno a Venezia è stato il trascinante fuori concorso coreano Night in Paradise di Park Hoon-jung. Spietato, ma con punte di feroce ironia, vagamente tarantiniano, è una sanguinosa lotta fra gang rivali di Seul, con una strepitosa scena finale in cui una coraggiosa ragazzina, tanto introversa quanto abile con le armi, fa fuori a bruciapelo, in un ristorante, una ventina di gangster che avevano martirizzato il suo unico amico. Roba da far impallidire Thelma & Louise.

Articolo Precedente

Mostra del Cinema di Venezia 2020, ma la giuria i film li ha visti? È come aver dato a un capolavoro di Eastwood la medaglia di bronzo

next
Articolo Successivo

Venezia 77, da Notturno a Le sorelle Macaluso: i sei film italiani non premiati ma con tanto da dire

next