Hanno aspettato mesi perché il governo si accorgesse di loro. Chi doveva sposarsi, chi aspetta un bambino a distanza, chi addirittura lo ha avuto già senza poterlo conoscere. Ma anche adesso che il calvario è finito (almeno in teoria), le incertezze restano. Come anticipato dal ministro della Salute Roberto Speranza, nel Decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) varato il 7 settembre c’è un passaggio dedicato alle coppie internazionali – intese come relazioni stabili tra italiani e cittadini dell’area extra Schengen – separate dal Covid. Eccolo: è ammesso “l’ingresso nel territorio nazionale per raggiungere il domicilio/abitazione/residenza di una persona, anche non convivente, con la quale vi sia una comprovata e stabile relazione affettiva”. Una norma mirata a far riabbracciare migliaia di fidanzati e promessi sposi costretti alla lontananza da almeno sei mesi, da quando, cioè, le frontiere si sono chiuse per la pandemia.

Con la riapertura di giugno, le coppie formate da italiani e cittadini Schengen (più dieci altri Paesi tra cui Australia, Canada e Giappone) hanno potuto rincontrarsi. Ma da quegli Stati che il ministero degli Esteri inserisce nella “lista E” (cioè tutto il resto del mondo) l’ingresso in Italia resta vietato a scopo turistico. E non essendo sposati, fino a qualche giorno fa, gli innamorati extra-Schengen per il nostro Paese altro non erano che questo: turisti.

Nei mesi scorsi una campagna lanciata dal movimento internazionale Love is not tourism (“L’amore non è turismo”) ha chiesto ai governi di risolvere questa disparità con una normativa ad hoc. Appello raccolto da dieci Stati europei cui si è aggiunta, con l’ultimo Dpcm, anche l’Italia. Ma la vaghezza del testo pone domande senza risposta. La più importante: quando una relazione è “comprovata e stabile”? “Il decreto non dice nulla su questo”, lamenta Alessandra Leo, una dei portavoce di Love is not tourism Italia. Da due anni è fidanzata con Anton, russo di San Pietroburgo, che non vede da febbraio. “Il timore è che i criteri saranno del tutto discrezionali, perciò nessuno si azzarda ancora a comprare un biglietto”. Sul portale Viaggiare sicuri della Farnesina è scritto che il legame va attestato con autodichiarazione, ma “è opportuno essere pronti a mostrare eventuale documentazione di supporto”. Non è chiaro se basteranno foto e chat o servirà qualcosa di più specifico, come la prove di una convivenza precedente. “Soprattutto, non si dice se per essere considerata stabile la relazione deve durare da un certo periodo di tempo, come hanno deciso altri Paesi”, dice Alessandra.

Contattato da ilfattoquotidiano.it, l’ufficio stampa del ministero dice che un criterio ufficiale ancora non c’è. Il tema è oggetto di un confronto tra i dicasteri degli Esteri, della Salute e dell’Interno, che a breve dovrebbero elaborare le linee guida. Il dato certo è che nell’autocertificazione (peraltro ancora non disponibile online) va indicato il domicilio del partner che si vuole raggiungere, ed è lì che il neo-arrivato deve osservare la quarantena.

Nonostante le incertezze, c’è chi non può più aspettare. Come Laura, 39 anni, milanese, fidanzata con Alberto, 33, ecuadoriano. L’ultima volta che si sono salutati dal vivo, all’aeroporto di Guayaquil, era il 3 gennaio. Un mese dopo lei ha scoperto di essere incinta, e adesso la piccola Isabel – il nome scelto per la bambina – sta per nascere, in anticipo sulla tabella di marcia. Per tutti e nove i mesi di gravidanza, la coppia ha vissuto separata da un oceano. “In queste ore Alberto si sta imbarcando, farà scalo a Madrid e se tutto va bene sarà in Italia in tempo per il parto”, racconta lei dalla clinica Mangiagalli, dov’è ricoverata. “Sarebbe partito comunque, anche senza il Dpcm, chiedendo di poter entrare per motivi urgenti. Ha con sé un visto turistico, le carte che provano la mia gravidanza, la data presunta del parto, l’assicurazione sanitaria. Ma ci sono ancora mille incognite: non sappiamo se gli agenti di frontiera conoscono la nuova norma e come la applicheranno”. E poi: con un tampone negativo fatto nelle 72 ore precedenti, come quello che ha in tasca Alberto, si può evitare la quarantena prevista dal decreto? “Logica vorrebbe di sì. Ma anche questo lo scopriremo solo all’arrivo”, riflette Laura.

Mentre Luca, imprenditore 37enne di Cusago, un figlio lo ha già avuto: si chiama Santiago e sta per compiere il quarto mese di vita. Ma finora il papà lo ha visto solo su Facetime. Il 9 marzo la compagna Kathrin, venezuelana, doveva raggiungerlo in Italia per terminare la gravidanza. Proprio quel giorno i voli verso l’Italia sono bloccati per il Covid. “È stata durissima, una sofferenza inspiegabile, non quantificabile. Ho assistito al parto in videochiamata, cercando di farle sentire tutta la mia vicinanza”, racconta Luca. “Da allora vedo il mio bambino ogni giorno su uno schermo, ascolto i suoi pianti notturni registrati. Ma non l’ho mai conosciuto. Già in condizioni normali un padre si sente inerme di fronte a un neonato, figuriamoci così”. Non solo: ufficialmente Luca non è ancora il padre di Santiago, perché il riconoscimento a distanza non è consentito. Così anche far arrivare madre e figlio in Italia, per via delle restrizioni, si è trasformata un’impresa impossibile. Fino a qualche giorno fa: “Dopo mesi di telefonate e mail, grazie alla collaborazione dell’ambasciata, abbiamo trovato una soluzione con un permesso temporaneo di viaggio”, spiega. “Ormai è questione di ore prima che io veda per la prima volta mio figlio, all’aeroporto. Sono in stato confusionale, non si può spiegare. Se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto. Ma adesso c’è spazio solo per la gioia”.

Twitter.com/paolofrosina

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