La proposta di uno “scambio di prigionieri” complica il rilascio degli equipaggi dei due pescherecci tuttora sotto sequestro in Libia, nelle mani delle forze militari fedeli al generale della Cirenaica Khalifa Haftar. L’ipotesi è emersa al margine dei tavoli di mediazione operativi da una settimana, per ottenere il dissequestro dei due motopesca ‘Antartide’ e ‘Medinea’ e la liberazione dei 18 pescatori trattenuti a Bengasi un giorno dopo il viaggio a Tripoli del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. In cambio del rilascio dei marittimi, l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) ha chiesto l’estradizione di quattro scafisti, detenuti in Italia perché condannati per la cosiddetta ‘Strage di Ferragosto’ che nell’estate del 2015 portò alla morte di 49 persone, raccontata nel film documentario Fuocoammare di Gianfranco Rosi.

La notizia è stata commentata sui social da alcuni account legati alla gerarchia di Haftar e rilanciata dalla marineria di Mazara del Vallo, ma non c’è alcuna conferma dalla Farnesina che “sta seguendo con massima attenzione la vicenda dei pescherecci sequestrati in Libia”, dice in una nota. Restano stabili i contatti del Ministero con gli armatori e i familiari dei marittimi, tuttora bloccati a Bengasi e trasferiti in una villa “in buone condizioni di salute”, come si vede da alcune foto diffuse da un’associazione mazarese.

La richiesta riguarda Joma Tarek Laamami, di 24 anni, Abdel-Monsef, di 23 anni, Mohannad Jarkess, di 25 anni, Abd Arahman Abd Al Monsiff di 23 anni, condannati a 30 anni dalla Corte d’Assise di Catania per la morte dei migranti, alla quale avrebbero contribuito con “calci, bastonate e cinghiate”, sentenza confermata lo scorso giugno dai giudici di Appello etnei. In Libia sono conosciuti come dei “giovani calciatori” e sin dal loro arresto i familiari hanno sostenuto che “il loro obbiettivo era emigrare per diventare professionisti in un club europeo”, tanto che già in altre occasioni l’ambasciata libica in Italia ha chiesto l’estradizione dei quattro in Libia.

“Sono favorevole all’idea che possano scontare in Libia questa pena, basata su una sentenza ingiusta, ma un eventuale ‘scambio’ andrebbe correlato alla liberazione di soggetti italiani detenuti in quel Paese – dice l’avvocato Francesco Turrisi, legale di uno degli scafisti condannati – mentre ritengo che trattare dei pescatori, lavoratori e padri di famiglia come ostaggi, sia un’azione terroristica inaccettabile e se questi sono i metodi utilizzati dal nostro interlocutore non c’è alcuno spazio per qualsivoglia trattativa che non sia il rilascio immediato dei nostri cittadini”.

Il sequestro dei due pescherecci risale alla scorsa settimana, all’indomani di un viaggio in Libia del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per dare il proprio sostegno all’accordo tra il premier libico, Fayez al-Sarraj, riconosciuto dall’Onu, e il presidente della camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh. L’agguato è avvenuto la nel corso di un pattugliamento, durante il quale la Marina libica aveva segnalato la presenza di nove pescherecci in “acque libiche”, che dal 2005 vengono estese da 12 miglia ad oltre 74, in base alla convenzione di Montego Bay del 1982, adottata unilateralmente dall’allora governo di Muhammar Gheddafi. Ieri il leader della Lega, Matteo Salvini è intervenuto per attaccare “il governo Conte-Pd-5Stelle” che “spalanca i porti a migliaia di clandestini e non fiata dopo il sequestro”. In serata la Farnesina ha precisato di essere “in costante contatto con la nostra ambasciata a Tripoli e con la nostra intelligence. Dispiace che ci sia qualcuno tra le opposizioni pronto ad attaccare su un caso che richiede invece il massimo riserbo affinché si giunga quanto prima a una soluzione positiva”.

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