“Ogni volta che avevo l’opportunità di tornare per le vacanze capivo che si stava creando un abisso tra me e l’Italia”. Vincenzo Ligorio ha lasciato la Puglia nel 2011. Pensava fosse una situazione passeggera. E invece è all’estero da 9 anni. Da Brindisi a Mosca, dall’Italia alla Russia, dove oggi, è docente presso la Russian Presidential Academy of National Economy e Public Administration e lo hanno accolto “come un figlio”, racconta. La pandemia in Russia, che ha trionfalmente annunciato il via libera al suo vaccino tra le critiche della comunità scientifica internazionale, è stata al centro di aspre critiche al governo centrale, e finora ha fatto più di 16mila morti e oltre 960mila contagi, stando alle cifre ufficiali. Inevitabile che cambiasse anche le prospettive di Vincenzo: la distanza da casa si è fatta sentire e alcuni dei suoi affetti “sono stati colpiti dal virus”. Ad aprile e maggio, poi, lo stipendio non è arrivato, “con la scusa del lavoro a distanza e con il posticipo di alcuni progetti”. Il suo obiettivo era quello di restare in Russia, ma ora sta cercando altre possibilità in Paesi dell’Unione Europea. Tornare in Italia, per ora, è un’ipotesi lontana.

Originario di Brindisi, 33 anni, e “orgogliosamente figlio del Sud”, Vincenzo si iscrive a scienze politiche e relazioni internazionali all’Università del Salento. La morte prematura del padre lo mette di fronte alla scelta di dover studiare non lontano da casa, e lavorare per pagarsi le spese. Nel 2011 parte con una borsa di studio per la Russia alla Higher School of Economics. “Alla fine dei due anni era evidente che non ci fosse spazio per me in Italia e mi sono convinto a provare a restare in Russia”, racconta. Quando gli è stata offerta una cattedra all’Università pubblica Plekhanov di Mosca ha accettato.

“Se non ti percepiscono come una minaccia, i russi si aprono e ti accolgono come se fossi uno di loro”, dice Vincenzo. E poi il fatto di “non aver mai chiesto niente mi ha aiutato molto”. Specie all’inizio, quando, appena arrivato, non conosceva nemmeno una parola di russo e le persone si sono dimostrate pazienti. “L’inglese, anche in ambito accademico, qui non è molto diffuso”, sorride.

In cinque anni Vincenzo è diventato vicepreside del suo ateneo e da qualche mese vicerettore presso un altro ateneo della capitale. Sveglia alle 5, briefing, incontri con il rettore, email telefonate, attività di coordinamento del proprio dipartimento e dei progetti internazionali. La giornata di Vincenzo segue ritmi intensi. “Come vicerettore devo essere costantemente sull’attenti”, avverte. Il sabato è dedicato alle lezioni (un impegno in media di 8, 10 ore). Gli studenti sono esigenti, l’approccio è diverso da quello italiano: “Bisogna sempre mantenere alta l’attenzione, le solite slide sono superate – continua –. La preparazione di ogni singola lezione è faticosa, e poi la parte seminariale ti impone un lavoro quasi individuale con ogni studente”.

Per uno come Vincenzo, abituato a godersi il sole 200 giorni l’anno, il clima di Mosca è un fattore con cui fare i conti. Anche sul lavoro “la mentalità è diversa – spiega –. A volte è come sbattere contro un muro di gomma”. E nonostante Mosca “sia tra le città più innovative, aperta 24 ore su 24, ti ritrovi ad affrontare alcuni retaggi del passato. Milioni di moduli da compilare a mano, per fare un esempio”. Quello degli stipendi è un capitolo a parte. “Vantaggi economici? Nel mio settore no, anzi è una tragedia – spiega Vincenzo –. Per questo quasi tutti i docenti universitari (me compreso) lavorano part-time anche per altre università”. Sostenere uno stile di vita simile agli standard europei, poi, “costa, e quando sei straniero questo comporta spese extra”. Verso gli italiani ha sempre percepito un atteggiamento accogliente e il momento più emozionante è stato quando tra le mani gli è arrivato il permesso di soggiorno.

Tornare in Italia è il sogno di tanti e anche il suo. Ma finora, nei colloqui con le aziende italiane si è sentito dire di essere troppo qualificato. “Ottimo CV, ma troppa esperienza, mi dicono. E l’età massima è 31 anni”. “Siamo in tanto a volere rientrare – conclude -. Ma bisogna capire a che prezzo”.

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