A Gorgona, l’ultima isola-carcere rimasta in Italia, è in corso una “liberazione di massa“. Ad andarsene non sono i detenuti ma la maggior parte dei 588 animali che fino a qualche mese fa, dopo l’allevamento da parte dei detenuti, erano destinati al macello. Dopo un accordo tra il Comune di Livorno, direzione del penitenziario e Lav il mattatoio è stato chiuso e una parte è tornata sulla terraferma, mentre 180 esemplari di varie specie tra capre, conigli, maiali, galline e altre ancora resteranno sull’isola e saranno accuditi dai detenuti. Una storia che rilancia il “modello Gorgona“, per fare dell’istituto di detenzione nel mare di Livorno un “laboratorio di buone pratiche per la rieducazione“. La “fuga per la salvezza” degli animali di Gorgona è finita sulle pagine del Guardian che con un reportage ha raccontato sia l’impegno delle associazioni animaliste per la chiusura del mattatoio, sia il ruolo fondamentale che la pratica dell’allevamento ha nella rieducazione dei carcerati. La battaglia per la liberazione degli animali di Gorgona andava avanti da anni. In prima linea non solo le associazioni animaliste (e in particolare la Lav che si occuperà del trasferimento dei 400 animali), ma anche i detenuti, come spiega il garante per il Comune di Livorno Giovanni De Peppo: “Alcuni detenuti avevano chiesto la grazia per gli animali, spiegando che in un carcere non poteva scorrere sangue, fosse anche quello degli animali. E poi proprio dopo che, erano stati accuditi, protetti, chiamati per nome”.

Una simbolica “Arca della Libertà“, con a bordo i primi 85 animali, è salpata il 25 giugno, in direzione del porto di Livorno, che dista 34 chilometri e un’ora di navigazione. Vitelli, maiali, conigli, capre, pecore, galline e cavalli sono stati trasferiti sulla terraferma e destinati una parte all’adozione diretta della Lav e una parte a chi vorrà prendersene cura. Se la Lav si occuperò del salvataggio e del trasferimento degli animali (aiutando il carcere a trovargli una casa, l’attività terapeutica con i 180 che rimarranno sarà coordinata dalla cattedra di diritto penitenziario dell’Università Bicocca di Milano, con un contributo di 45mila euro in due anni. La Lega antivivisezione aiuterà anche il carcere a trovare una casa agli animali liberati interventi educativi, campagne di adozione a distanza, o visite guidate sull’isola.

Racconta lo stesso De Peppo a ilfatto.it: “Da garante, attraversando il tratto di mare che divide Livorno dall’isola di Gorgona, per incontrare i cento detenuti che lì vivono e lavorano per il tempo della pena, non riuscivo, ogni volta, a non pensare, tra il biancore della schiuma della motovedetta che mi portava sull’isola, anche alle altre creature ristrette e che, pur accudite, non avrebbero potuto avere conservato il dono della vita“. Così “mi resi conto di poter essere e dover essere garante anche di quelle creature – continua De Peppo – pensando che quel progetto di ‘salvezza’ avrebbe salvato anche le strategie di riabilitazione dei detenuti”.

“Per poter rientrare nella società, un prigioniero deve essere in grado di sviluppare empatia e, se stiamo uccidendo animali, di sicuro non possono sviluppare connessioni positive con altri umani. È molto importante che apprendano il concetto di cura, con l’obiettivo di essere in grado di prendersi cura di se stessi” ha spiegato al Guardian Giacomo Bottinelli, attivista della Lav. E proprio da questo principio negli anni sono nate le lotte dell’associazione, in collaborazione con Essere Animali e Ippoasi.

La storia del “modello Gorgona” parte da lontano: il carcere venne istituito dal giovane Regno d’Italia nel 1869 e già nei primi decenni su questo piccolo appezzamento di fronte a Livorno i detenuti scontavano la pena in semilibertà occupandosi degli animali da fattoria. Negli ultimi anni però si è fatta strada – grazie al veterinario dell’isola Marco Verdone e al direttore del penitenziario Carlo Mazzerbo – una nuova idea di convivenza uomo-animale, abbandonando il macello come destinazione dell’allevamento.

Alla fine è arrivato il protocollo, anche grazie all’interessamento del ministero della Giustizia. “Ed è ripartita la speranza e la possibilità di trasformare Gorgona nell’isola dei diritti di tutti – dice De Peppo – Se succede nella piccola isola nel cuore del santuario dei cetacei, nel Parco dell’Arcipelago Toscano, tutto e ovunque può succedere”. I vantaggi saranno anche per l’ambiente perché sarà ridotto l’inquinamento e lo sfruttamento dei due chilometri quadrati dell’isola che si trasformerà in un “laboratorio delle buone prassi etiche, ambientali, energetiche”. Il garante ricorda un vecchio proverbio indiano: “La terra ci è stata dato in prestito dai nostri figli”: “Ma probabilmente un’isola dove la non violenza è reale può essere un buon inizio”.

Articolo Precedente

I nuovi poveri del Covid, così Emergency aiuta chi ha perso lavoro e risparmi: “Difficoltà anche a far la spesa. Non si può guardare dall’altra parte”

next
Articolo Successivo

Medicina, sono di più le laureate ma non le chirurghe. “Mi dissero: sei brava, peccato che tu sia una donna. Troppa fatica e incognita gravidanze, in sala operatoria preferiscono gli uomini”

next