In Italia “fare profitti” in genere è considerata una parolaccia. Tutti vorrebbero farli, ma che non si sappia. Creare ricchezza nel paese dove eppure nacque il capitalismo moderno è peccato. Peccato se non colpa morale per la Chiesa – che preferisce condannarlo, salvo poi cercarlo smodatamente attraverso il suo braccio secolare – peccato da guardare con molto sospetto per lo Stato, che lo stronca con le tasse e le imposte.

Insomma, tutti gli italiani sono convinti che il denaro puzzi (stinks), lo disprezzano in pubblico, ma lo perseguono in privato, perché sanno che la strada passata e presente per diventare ricchi da noi non è certamente quella del merito, dei mercati concorrenziali, dei sacrifici e dell’intelligenza, ma quella dei privilegi, delle amicizie, delle furberie e spesso della forza contro la legge, della violenza.

Parlare di profitti in Italia è un argomento tabù, figuriamoci quando leggiamo che, mentre i Pil mondiali crollano e mentre gli italiani non hanno di che arrivare alla fine del mese, numerose aziende, in genere grandi multinazionali già cariche di guadagni, in occasione del Coronavirus hanno aumentato i loro fatturati, i loro margini di guadagno. Al solito l’occasione per fare di tutta l’erba un fascio e poter restare nella nostra tranquilla preistoria economica è troppo ghiotta.

Sia chiaro, è la concezione italiana del profitto, le idee diffuse che gli italiani hanno dei meccanismi economici, in sostanza la nostra ignoranza economica (che non è come vorrebbero farci credere banche e bocconiani la scarsa conoscenza da parte delle casalinghe di cosa sia uno swap, o un derivato) alla base dei nostri miseri tassi di sviluppo, del nostro ridicolo senso istituzionale, insomma del nostro non riuscire a stare bene come potremmo (se volessimo). È tutto questo che ha consentito l’identificazione della ricchezza con comportamenti scorretti o illeciti.

Gli approfittatori da sempre hanno prosperato, in particolare nei tempi di crisi e nei tempi di guerra quando venivano chiamati “pescecani” e quando, regolarmente a babbo morto, venivano invocate Commissioni Parlamentari sugli Illeciti Profitti di Guerra. Molte aziende italiane sono diventate grandi e famose vendendo materiale bellico indispensabile al proprio paese a prezzi gonfiati, per poi attingere a guerra finita al denaro pubblico e riconvertire quella produzione che avevano artificialmente dilatato.

Ma la notizia che i giganti della tecnologia, della farmaceutica e delle banche; che Apple, Amazon, Pfizer, Visa, Johnson & Johnson, Alphabet, Facebook e molte altre abbiamo moltiplicato le proprie entrate in questi mesi di Coronavirus e di recessione mondiale è tutta un’altra storia.

A parte le eccezioni, in genere queste aziende hanno solo continuato a fare il proprio mestiere e si sono semplicemente avvalse di potenzialità già presenti (ad esempio la disponibilità di un efficiente servizio on line) per aumentare i fatturati. Hanno continuato a fare ciò che già facevano prima. Le regole dell’economia valgono sempre, l’adattamento e il ribaltamento della tendenza generale di fronte a nuove circostanze, potenzialmente sfavorevoli, è solo un segno di migliori capacità, e tutti i profitti non sono di per sé illeciti, anche quando molti purtroppo non ce la fanno.

Da sempre anche nel peggiore ciclo economico, nelle fasi più depressive ci sono state e ci saranno imprese che hanno saputo fare cassa, senza per questo dover ricorrere a sistemi scorretti. Una cosa sono i comportamenti scorretti o illeciti, una cosa sono i profitti, non c’è identificazione, che invece è tipica delle economie arretrate, incapaci di darsi efficienti regole di convivenza.

I profitti non sono un male assoluto, anzi è necessario saper distinguere, perché la confusione serve solo a quanti vogliono continuare ad approfittare indebitamente delle circostanze. La confusione serve, ad esempio, certamente a tutte quelle imprese italiane che hanno continuato a chiedere di accedere ai fondi della Cig pur tenendo nei fatti i lavoratori in smart working, oppure aumentando con l’aiuto pubblico fatturati che di fatto non avevano subito gravi riduzioni.

La confusione serve poi a tutte quelle aziende che si sono buttate improvvisamente in settori dove gli illeciti profitti si possono nascondere meglio, con le contraffazioni in particolar modo sanitarie, le truffe, l’usura, le infiltrazioni mafiose, gli enti no-profit fittizi, il cybercrime. È la peculiarità della situazione italiana a doverci preoccupare.

Il Coronavirus sarebbe esattamente un’ottima occasione per introdurre alcune norme in grado di regolare in maniera più efficiente il mercato italiano, restituendo diritti e potere ai consumatori, aumentando l’influenza del merito e del lavoro nella scala sociale e nel livello delle retribuzioni, tagliando le pervicaci, cancerogene connessioni e collusioni tra potere economico e finalità politiche-elettoralistiche. Altro che i profitti delle multinazionali.

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