L’unico modo per capire quanto è profondo un abisso è caderci dentro. Solo che più si viene risucchiati giù dal gorgo nero, più diventa difficile tornare in superficie. Una lezione che il Deportivo La Coruña ha imparato lunedì scorso, quando la realtà ha preso le sembianze di un incubo dal quale è impossibile svegliarsi. Dalla Liga alla terza serie del calcio spagnolo. Un capolavoro al contrario portato a termine in appena due annate. Uno scherzo diventato grottesco durante l’ultima giornata della Segunda División. In quello che un tempo era il glorioso Riazor, il Deportivo ospita il Fuenlabrada. I padroni di casa devono vincere per sperare nella salvezza. Gli ospiti devono vincere per sperare nei playoff. Una sceneggiatura perfetta alla quale partecipano anche i tifosi del Depor. Si ritrovano fuori dallo stadio. A decine. Tutti con le maglie del club. Tutti con le gole pronte a ruggire. Un maxi assembramento biancoblù in barba alle disposizioni sul distanziamento sociale.

Fumogeni, canti, manate al portellone del pullman sociale in segno di incitamento. Qualche lacrima, anche. Solo che quando il Fuenlabrada arriva al Riazor le facce cominciano a farsi scure. Gli ospiti si sottopongono ai controlli. E in 11 risultano positivi al coronavirus (poi saliti fino a 28 tra squadra e staff). La Federazione ascolta e trasecola. Serve una soluzione. Qualcuno dice di far giocare il Fuenlabrada con gli altri 14 giocatori a disposizione. Altri propongono di rinviare l’intera giornata (che si gioca in contemporanea su tutti i campi). Alla fine la Liga decide. Giocano tutti. Tutti tranne Deportivo e Fuenlabrada.

Nel frattempo l’Albacete espugna Cadice e il Lugo batte il Mirandes, tirandosi fuori dalle sabbie mobili che portano in terza serie. Il Deportivo è matematicamente condannato. Senza neanche essere sceso in campo. E senza il verdetto del prato verde, ecco che iniziano le accuse. Il Deportivo si scaglia contro il Fuenlabrada. Sono stati irresponsabili a mettersi in viaggio con undici contagiati, dice il club galiziano. Erano asintomatici e non erano risultati positivi ai controlli effettuati, come da protocollo, 48 ore prima del match, risponde la società di Madrid. Gli avvocati si sfregano le mani e cominciano a pigiare le dita sulle tastiere. Perché sono molti i club che hanno un interesse da difendere.

“Senza il Covid la gente sarebbe in piazza a protestare – tuona Fernando Vidal, presidente del Deportivo – l’unica soluzione possibile è di natura politica: una Segunda División a 24 squadre. Le proveremo tutte. Non mi sento un club di terza serie“. Il club galiziano, però, trova anche altri preziosi alleati: Elche, che per mantenere il sesto posto che vale i playoff ha bisogno di un risultato negativo del Fuenlabrada; Rayo Vallecano, settimo, che una volta saputo della positività dei giocatori madrileni ha tolto dall’undici titolare il franco-marocchino Yacine Qasmi, che aveva cenato con un giocatore del Fuenlabrada, e Numancia, retrocesso in Segunda B, che si è lamentato della mancata contemporaneità dell’ultima giornata.

Tutti club agguerriti, tutti club che già hanno promesso di cause legali per difendere i propri interessi. Javier Tebas, presidente de LaLiga, ha annunciato che l’ultima giornata non si rigiocherà, come aveva chiesto qualche club. Per trasformare il film horror in commedia, però, ai galiziani servirebbe un vero miracolo. Perché anche in caso di vittoria, i biancoblù sarebbero comunque matematicamente retrocessi. Un verdetto particolarmente beffardo, visto che arriva proprio nel ventesimo anniversario della vittoria dell’unica Liga, il 19 maggio del 2000.

L’unica grande vetta per una squadra che aveva imparato benissimo a soffrire. Proprio come successo nel 1993/1994. Allora al Depor capolista bastava una vittoria all’ultima giornata contro il Valencia per diventare campione. Una partita che il Riazor ha vissuto con il cuore in gola per tutti i 90 minuti. Poi, con il risultato fermo sul pareggio, ecco che in pieno recupero l’arbitro aveva fischiato un rigore per il Depor. Donato era stato sostituito, Bebeto era troppo nervoso. Così a sistemare il pallone sul dischetto era stato Miroslav Dukic. E aveva sbagliato. Il titolo era andato al Barcellona, che aveva promesso un bonus al Valencia in caso di pareggio.

Il club con il pipistrello rappresenta un incubo ricorrente nelle notti dei tifosi galiziani. Nel 1995 il Deportivo affronta proprio il Valencia nella finale di Coppa del Re. Si gioca a Madrid, in campo neutro. La partita dura 79’. Poi una furiosa grandinata si abbatte sul campo. In pieno giugno. La partita è sospesa. Si riprende tre giorni più tardi. E per una volta la fortuna sembra sorridere al Deportivo. Negli 11 minuti restanti Alfredo segna e regala la Coppa ai biancoblù. È l’inizio di una nuova storia. Un periodo di gloria che culminerà con la Liga e con le partecipazioni alla Champions League. Nel 2004 il Depor, anzi, il Super Depor, elimina la Juventus agli ottavi. Poi, ai quarti, la squadra di Irrureta perde 4-1 contro il Milan a San Siro. Il ritorno sembra materia per dopolavoristi. E invece al Riazor il Deportivo porta a termine una rimonta da urlo: 4-0 e tanti saluti al Diavolo.

Ogni storia che si rispetti, però, ha un colpo di scena. Così nel 2009 arriva il rapido declino. In palio non c’è più la gloria, ma la sopravvivenza. I nomi dei campioni che hanno vestito la nobile maglia del club diventano dei santini, delle parole incastrate in una filastrocca da ripetere quando si ha paura del futuro sempre più cupo. Anzi, peggio, impalpabile e incolore. I trofei iniziano a prendere polvere il bacheca. Si soffre, ma con stile. Durante una conferenza stampa del 2009, l’allenatore Miguel Ángel Lotina rivela la formazione che scenderà in campo nel fine settimana. Ma cita solo giocatori che hanno fatto parte del Super Depor: Djalminha, Tristan, Makaay. Il passato diventa un comodo rifugio per scappare da un presente insipido. Il 2011 e il 2013 portano in dono due retrocessioni.

Il talento in campo si assottiglia, i debiti si inspessiscono. E a fine 2013 raggiungeranno quota 156 milioni di euro. Nel 2017/2018 un’altra retrocessione. Il Deportivo finisce terzultimo a 14 punti dal Leganés. L’anno scorso chiude sesta e si qualifica per i playoff. In finale affronta il Maiorca. I galiziani vincono 2-0 all’andata in casa. Poi perdono 3-0 in trasferta. L’ennesima occasione sciupata della loro storia. L’ultima stagione è una barzelletta che sbriciola i cuori del Riazor. In un anno si alternano tre presidenti e tre allenatori. Nelle prime 21 giornate arrivano solo 2 vittorie. Poi la rincorsa contro la logica e la matematica. Una rincorsa che è terminata lunedì scorso. Nel modo peggiore possibile. Il Depor è la prima squadra campione di Spagna a scendere in Segunda B dal 1947. E i tifosi sperano di aver visto il fondo dell’abisso.

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