L’accordo raggiunto martedì scorso nel Consiglio europeo ha un grosso neo: mi sta bene l’esercizio di solidarietà e molto bene l’accettazione del principio di condivisione del debito; ma non mi piace affatto che l’intesa la dia vinta a Polonia e Ungheria sui fronti irrinunciabili dello stato di diritto, della separazione dei poteri, della libertà d’espressione e di informazione; e che non crei un nesso tra il rispetto dei valori fondamentali e l’elargizione degli aiuti europei alla “democrazia illiberale” (copyright: il premier ungherese Viktor Orban) e al nazionalismo neo-integralista del leader polacco Jaroslaw Kaczynski.

Le dimissioni, ieri, a Budapest di decine di giornalisti del principale sito di notizie indipendente ungherese, Index.hu, per protestare contro il licenziamento del loro caporedattore Szabolcs Dull, sono anche conseguenza della passività e dell’ignavia dell’Unione europea di fronte a quanto accade in Ungheria e in Polonia: quello che appare – giustamente – intollerabile ad Ankara e altrove, viene invece tollerato a Budapest e a Varsavia.

E’ vero che i Trattati dell’Ue non forniscono una gamma di sanzioni adeguate e progressive, ma sono ormai anni che Ungheria e Polonia danzano sul filo del rispetto dei valori fondamentali: chi non li riconosce e non li rispetta è fuori dall’Unione. E le Istituzioni comunitarie e i Paesi dell’Ue hanno avuto modo e tempo per dotarsi di strumenti d’intervento, ma non lo hanno fatto. Neppure nel vertice fiume dei giorni scorsi.

Anche il Parlamento europeo, la più politica delle Istituzioni europee, è prigioniero di ambiguità e contraddizioni: nella scorsa legislatura, ha sì approvato un rapporto molto critico con l’Ungheria, ma il partito di Orban “Fidesz” continua a restare nel Partito popolare europeo, che ha gruppo più forte nell’emiciclo di Strasburgo; e il partito di Kaczynski “Diritto e Giustizia” non si marginalizza fra i sovranisti e/o gli anti-Ue, ma sta nel gruppo dei Conservatori e Riformisti.

Così le palesi violazioni ungheresi e polacche dello stato di diritto, della separazione dei poteri e della libertà d’espressione e di informazione sollevano dichiarazioni di disapprovazione e nulla o poco più. La vicenda di Index.hu è sintomatica: è il portale di notizie più letto in Ungheria, una delle rare voci indipendenti in un panorama mediatico sempre più controllato dal premier Orban e dai suoi amici.

Mercoledì scorso il suo caporedattore Szabolcs Dull era stato licenziato, con l’accusa di avere fatto trapelare documenti interni verso altri media. Questo ha ieri indotto a dimettersi tre redattori esperti, seguiti da oltre 80 giornalisti, la stragrande maggioranza dell’intera redazione. In una dichiarazione, i giornalisti del sito denunciano il licenziamento di Dull come “un evidente tentativo di esercitare pressioni” sulla redazione di Index.hu.

Miklos Hargitai, presidente dell’Associazione dei giornalisti ungheresi, nota che un’altra importante istituzione mediatica ungherese “è in procinto di essere smantellata, occupata e distrutta dal partito” di Orban. Nel Paese, molti media, da quando Orban è al potere, sono stati comprati da uomini a lui vicini o chiusi da un giorno all’altro.

Il caso di Index.hu fa rumore a Bruxelles: il 7 luglio la vicepresidente della Commissione europea, la ceca Věra Jourová, responsabile del coordinamento delle politiche sui valori e la trasparenza, aveva inviato una lettera al sito, esprimendo solidarietà ai giornalisti che “lavorano in condizioni molto difficili”: “Quello che state facendo – scriveva la Jourová – e i valori per cui combattete, libertà e pluralismo, sono essenziali per la democrazia“.

Un mese fa, Dull aveva lanciato l’allarme sull’indipendenza a rischio di Index.hu. La redazione ne ha chiesto la riassunzione all’editore László Bodolai, che ha rifiutato. Il caso ha acquisito eco e rilevanza nazionali ed europee. Il partito di centro Momentum – il terzo del Paese per consensi – ha ieri organizzato una manifestazione nella capitale a sostegno della libertà dei media in Ungheria: “La redazione di Index ha chiaramente detto che cosa sta succedendo: interferenze, minacce, ricatti e pressioni. Non possiamo permetterlo”.

Viste le progressive infiltrazioni degli uomini di Orban nei media nazionali, Index.hu aveva istituito un paio di anni fa un barometro che indicava il grado di libertà del sito. La lancetta era sempre rimasta sul verde, fino a quando non s’era spostata sul giallo.

Ciò era avvenuto quando la proprietà, facendo anche leva sull’emergenza del Covid-19, aveva progettato una riorganizzazione interna, con contenuti “esternalizzati” e non più prodotti in redazione. La decisione aveva allarmato Dull: “Temiamo di perdere – aveva scritto il 21 giugno – i valori che hanno reso Index.hu il sito di notizie più grande e più letto d’Ungheria”.

A Dull, la proprietà avrebbe offerto una cospicua buonuscita perché se ne andasse senza fare onde. Ma lui si è rifiutato: la sua epurazione e le dimissioni di massa dei suoi colleghi rendono più difficile – spero impossibile – all’Ue ignorare la crisi della libertà d’informazione in Ungheria.

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Libero, che giornalismo è questo?

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