Uno stadio a San Siro e un quartiere a Baggio, un impianto a Roma Sud e magari quattro palazzine dall’altra parte della città. Nella riforma dello sport che il ministro Spadafora ha ereditato dal governo gialloverde e dovrà essere approvata entro l’estate c’è anche l’ennesima legge sugli stadi. Ufficialmente dovrebbe servire a snellire i tempi della burocrazia italiana, ma il nuovo testo promette di fare molto di più, sdogana il sogno proibito di ogni costruttore che guarda al calcio come occasione di speculazione: l’edilizia residenziale, categoricamente vietata fino ad oggi, cioè la possibilità di realizzare appartamenti con la scusa del pallone, addirittura lontano da dove sorgerà l’impianto.

IL PRECEDENTE DELLA “LEGGE LOTTI” – Ogni volta che si parla di legge sugli stadi, la stessa storia: il partito del mattone, che è trasversale ed attraversa governi di centro, destra e sinistra, ci riprova. Nel 2012, quando una normativa per la costruzione degli impianti sportivi ancora non esisteva, una parte del Pd era stata costretta a gridare al “favore a Lotito e Zampariniper fermare un ddl sugli stadi particolarmente permissivo. Era successo anche nel 2013, sotto il governo Letta che ha partorito la prima legge in materia, e soprattutto nel 2017, in piena era Lotti, quando sempre il Pd, stavolta al governo, aveva provato a far sparire dalla manovra correttiva il divieto esplicito di edilizia residenziale, salvo poi dover fare marcia indietro in sede di conversione del decreto per le grandi polemiche che il provvedimento aveva suscitato. Adesso ci risiamo: la grande delega per la riforma sullo sport approvata ad agosto 2019, adesso in fase di attuazione, rischia di trasformarsi in un regalo agli speculatori.

VIA LIBERA ALL’EDILIZIA RESIDENZIALE, ANCHE “IN AREE NON CONTIGUE” – Nel suo spirito originario, la legge sugli stadi doveva aiutare i club a dotarsi di impianti di proprietà e colmare il gap del calcio italiano nei confronti degli altri tornei. Permette essenzialmente di presentare un progetto che, oltre all’impianto, comprenda altre opere accessorie che ne assicurino la sostenibilità economica, con un’unica autorizzazione, quella della conferenza dei servizi. Fino ad oggi, accanto allo stadio potevano sorgere anche immobili non sportivi “con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale”. Questa postilla, difesa con i denti nel 2017 e prima ancora nel 2013, è scomparsa nella bozza della riforma dello sport: significa che con la nuova legge il divieto non ci sarà più e si potranno costruire anche condominii e appartamenti. Ma non è tutto: se in passato gli interventi venivano limitati alle “aree contigue”, adesso le opere potranno essere comprese “anche in aree non contigue all’impianto”; con un piccolo stadio (basta una capienza di 16mila posti per rientrare nel provvedimento), può nascere un quartiere a chilometri di distanza.

LA PALLA PASSA AL GOVERNO: ARRIVA IL COMMISSARIO – La riforma avrà degli effetti anche sull’iter. La procedura sarà più veloce, soprattutto perché non sarà più in mano solo agli enti locali: se Comune e Regione non rispetteranno i tempi per la conferenza dei servizi, il privato potrà rivolgersi al governo. Il Ministero solleciterà la convocazione e, in ultima istanza, potrà addirittura nominare un commissario. Insomma, in futuro le partite per gli stadi potrebbero giocarsi più a Palazzo Chigi che a Palazzo di città: il parere di Comune e Regione dovrà comunque essere ascoltato prima di adottare i vari provvedimenti, ma così gli enti locali rischiano di perdere il controllo sui progetti che interesseranno il loro territorio. Mentre i proponenti avranno un unico interlocutore, a Roma, con cui scendere a patti.

I DUBBI DI PALAZZO CHIGI – Fin qui il dibattito sulla riforma dello sport era stato monopolizzato dalle polemiche sul limite dei mandati e sul futuro di Malagò, ma le novità per gli stadi sono destinate a far discutere. Non si sa se l’ex sottosegretario Giorgetti pensava a questo quando inserì il riordino della materia nella sua delega, né se la bozza è frutto dell’iniziativa del ministro Spadafora, di qualche accordo politico fra i partiti o di una semplice sottovalutazione del problema. Di sicuro il colpo di spugna sul divieto di edilizia residenziale non era previsto. Dal ministero dello Sport difendono il testo, spiegando che Comune e Regione possono sempre opporsi, che la conferenza dei servizi può bocciare progetti spropositati, ma aggiungono anche che è già in corso un approfondimento per esplicitare meglio lo spirito della norma e metterla al riparo da rischi speculativi. L’obiettivo – assicurano da Palazzo Chigi – è solo alleggerire la burocrazia e favorire la costruzione di nuovi impianti sportivi.

Twitter: @lVendemiale

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