Prima – da cronista (all’antica) del Corriere del Mezzogiorno barese – intrapresi il viaggio, con tanti eccitati ragazzi pugliesi: da Bari fino a Genova Brignole, nella notte, sulle vecchie carrozze di un treno speciale che fece un giro tortuoso di tutta la Penisola per raggiungere la città in cui sono nato.

Ecco il primo giorno: vivace ma tranquillo, quasi un corteo felice. Il secondo giorno – era il 20 luglio 2001 – viene inaugurato all’alba dai teppisti black bloc: molotov, mazzate, vetrine infrante. A casaccio ma con metodo militare. Prime cariche di centinaia di uomini con le divise più strane: carabinieri, poliziotti, finanzieri, guardie forestali. E poi, chissà… Fumo, urla dalle finestre, lacrimogeni.

La violenza che degenera incontrollata da parte di tutti, in divisa e senza. Spariti, invece, i black bloc. E l’unico piccolo bar che – con genovese determinazione – continua a tenere la saracinesche aperte offrendo acqua, bibite, panini; e qualche cura ai primi contusi.

Un carabiniere coperto da una maschera antigas mi guarda, si avvicina, osserva le mie insegne (ufficiali e ufficiose) da giornalista; e mi spruzza uno spray irritante sulla faccia. Brucia tutto. Squilla il mio cellulare proprio in quel momento, è la redazione. Ansimo che richiamerò; trovo una fontana, ma brucia anche di più. Dopo mezz’ora il dolore passa. Poco lontano, nei giardini pubblici, gruppi di gente qualsiasi, per bene, boy scout e preti: sorpresi dall’esplosione di rabbia, affranti e impauriti.

All’interno della zona rossa, destinata ai big del mondo, bar eleganti aperti; e odore di gas lacrimogeni, mischiato a quello di cappuccini e brioche. Nel bunker di Palazzo Ducale, i potenti. Attorno, decine e decine di auto blindate nere come la pece. Vedo uscire Putin, Bush, Berlusconi e tanti altri.

Intanto urla, violenze, spari, sangue, botte, sirene. La gente che può è barricata in casa. Alla sera, mentre scrivo, la conferma: è morto un ragazzo. Chi sarà? Si aspetta.

Il mio amico e collega genovese del Secolo XIX, Giampiero, che mi ospita, nella notte riceve una telefonata. Rimane ammutolito: “E’ morto Carlo… Carlo Giuliani. Era l’amico d’infanzia di mio fratello”. Quel gracile 23enne si era scagliato contro una camionetta dei carabinieri. Sbagliò lui, sbagliò il giovane carabiniere mandato allo sbaraglio, che sparò.

Già… in quei giorni cupi sbagliarono tanti: tra gli agenti, tra i potenti, tra i manifestanti. Poi altri giorni, ancora più cupi. E per parecchi giovani di allora finì l’età delle illusioni e dell’innocenza. Oggi hanno quasi tutti più di 40 anni. Carlo ne avrebbe 42.

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