Alla fine il governo – a due anni dalla tragedia del Ponte Morandi di Genova – ha deciso di affidare alla Cassa Depositi e Prestiti i tremila km di autostrade fino ad oggi gestiti da Atlantia. La Cdp dovrebbe investire circa tre miliardi, in attesa dell’intervento di altri futuri azionisti. Tanto i soldi ci sono: sono quelli dei correntisti postali (molti dei quali evidentemente non sanno chi gestisce i loro risparmi, altrimenti da tempo li avrebbero spostati altrove, visto che non penso abbiano una così alta propensione al rischio).

Le incursioni della Cdp mi fanno pensare al dinamismo dell’Iri, presente nei più diversi settori dell’industria, dei servizi e delle infrastrutture. Ma il Gruppo Iri, primo in Europa negli anni Sessanta, vantava una classe dirigente di primissimo piano, a partire dai fondatori Alberto Beneduce e Raffaele Mattioli e dai massimi responsabili – per fare solo qualche esempio – della telefonia, Guglielmo Reiss Romoli, e della siderurgia, Oscar Sinigaglia. Per non dire, visto che si parla di autostrade, di Fedele Cova e della “sua” Autostrada del Sole, realizzata in soli otto anni.

Non so chi siano i capitani coraggiosi della Cdp, ma sono quanto meno perplesso da alcune delle loro più recenti imprese. Faccio solo due esempi.

1. Il primo (di cui sono obbligato a seguire gli sviluppi per forza maggiore, visto che abito a 500 metri da Piazza Verdi a Roma) è quello del Poligrafico dello Stato, che in quella piazza aveva la sua sede storica e che si è trasferito altrove da almeno dieci anni, lasciandola inutilizzata. Da quel che i residenti sono riusciti a sapere a suo tempo, la Cdp (proprietaria del palazzo) aveva raggiunto un accordo con un grande operatore orientale per trasformarlo in un albergo di extra lusso, con mega-piscina sul tetto con vista su Villa Borghese. In più si sarebbero realizzati numerosi mini-appartamenti, anch’essi di gran lusso.

Un’impresa ai limiti dell’impossibile, visto che il palazzo misura 54mila metri quadri, ha mura ciclopiche e molti ambienti alti fino a 6/7 metri, difficilmente modificabili per i precisi e numerosi vincoli dei Beni Culturali. Circa cinque anni or sono iniziano i lavori, con gru di dimensioni mostruose, camion che entrano ed escono di giorno e spesso anche di notte, per maggiore delizia degli abitanti della zona. I residenti chiedono lumi, nessuno risponde.

Poi, improvvisamente, dopo quasi un anno di lavori, tutto si ferma. Spariscono gru e camion e i residenti tornano a dormire sonni sereni, per circa un anno. Sul perché di questo blocco dei lavori, solo una indiscrezione: il partner orientale si sarebbe ritirato. Dopo un altro anno, i lavori riprendono. Ma dev’essere un pesce d’aprile, visto che dopo poche settimane si interrompono di nuovo. Da circa due anni i lavori sono ripresi e sembra che l’ex Poligrafico dovrebbe essere in gran parte destinato all’Enel, che fino a pochi anni or sono aveva la propria sede proprio in Piazza Verdi, nel palazzo che oggi ospita l’Autorità Antitrust: “fare e disfare”…

2. Il secondo esempio è un cospicuo investimento nei villaggi Valtur (in cattivissime acque), spiegato in un comunicato “poliglotta” dalla necessità di “rilanciare il settore della hotellerie, anche per la promozione del brand e la sua (suppongo della Cdp, nda) posizione nel segmento dell’hospitality”.

Questa vocazione per gli alberghi risveglia in chi ha vissuto molto da vicino la fase finale della decadenza dell’Iri (ed è il mio caso) il ricordo di una delle vicende più sgangherate della gestione dorotea/petrilliana: l’acquisto di una catena di alberghi – la “Parabola d’Oro” – localizzati al Sud. Fra loro, il famosissimo Hotel “Capo Caccia”, che all’epoca ospitava Liz Taylor e i suoi mariti e che oggi – a quel che sento – è ridotto ad un cumulo di macerie. Ma all’Eni – con la famosa catena dei Jolly – non è andata molto meglio.

Oltre alla preoccupazione per i poveri correntisti postali, quel che più mi urta in questa storia è la mancanza totale di trasparenza della Cdp, cui corrispondono l’indifferenza e il silenzio dei politici e dei giornalisti: di quelli economici ma anche – in casi importanti come quello del Poligrafico – non dico dei direttori dei giornali ma almeno dei responsabili della cronaca romana. Per non parlare dei politici.

Ovviamente, sono d’accordo sul fatto che vada fatta luce sulle cause del disastro di Genova, che vadano rivisti gli aspetti della concessione troppo favorevoli al concessionario e che Atlantia paghi quel che deve. Ma mi chiedo che senso abbia (se non quello di una captatio benevolentiae nei confronti degli arrabbiatissimi elettori italiani) passare la gestione di una rete di circa 3mila km di autostrade da un imprenditore come Benetton, che ha dato concrete prove delle sue capacità, a un organismo con scarsa vocazione imprenditoriale come la Cdp.

E mi domando se proprio era necessario “cacciare” Benetton (formula di cortesia tipica dei giustizialisti a Cinque Stelle) e se non era possibile pensare a un intervento meno generico di quello di Cdp (per affinità di fini aziendali, le Ferrovie dello Stato?).

Quel che più mi terrifica (eppure l’ipotesi è stata fatta) è il rischio che Cdp decida di affidare la nostra rete autostradale a quello che considero come uno dei massimi esempi di incapacità gestionale: l’Anas, con i suoi 26mila km di strade (e di buche). E che nell’aprile del 2020 ha visto crollare il lunghissimo ponte di Albiano sul fiume Magra (in un momento in cui per fortuna non transitavano autoveicoli).

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