Quattro giorni dopo la morte di Stefano Cucchi i vertici locali dell’Arma inviarono tre comunicazioni di “apprezzamento” e “plauso” ai carabinieri che effettuarono l’arresto del giovane. È quello che è emerso oggi al processo per il presunto depistaggio delle indagini sulla morte di Cucchi. Imputati dal 20 gennaio scorso ci sono otto carabinieri. A ricostruire la vicenda è stato il pm Giovanni Musarò, nel corso dell’audizione del luogotenente Giancarlo Silvia, del Nucleo comando della compagnia Roma-Casilina. Nel leggere una nota il magistrato ha sottolineato che questa era stata mandata a 4 giorni dal decesso e ha chiesto al teste: “E’ usuale una nota del genere per un arresto di spaccio di droga, per una così modica quantità?”. “Certamente no“, ha risposto Silvia, aggiungendo che nell’Arma quando c’è un militare coinvolto si redige un Rapporto sul fatto e che per Cucchi questo non è avvenuto.

Le note risalgono al 26 ottobre del 2009, Cucchi morì il 22 ottobre del 2009 sette giorni dopo il suo arresto. Il 14 novembre del 2019 la corte di Assise di Roma ha condannato i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele d’Alessandro per omicidio preterintenzionale, condannandoli a 12 anni di reclusione. Il carabiniere Francesco Tedesco, che ha raccontato ai giudici le modalità del pestaggio di Cucchi, è stato assolto dal reato di omicidio preterintenzionale, ma viene condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione per falso. Per lo stesso reato il maresciallo Roberto Mandolini è stato condannato a 3 anni e 8 mesi.

Durante l’udienza di oggi il luogotenente Silvia ha anche raccontato che “un militare del Nucleo operativo, di ritorno dall’udienza di convalida di Stefano Cucchi, disse che il giovane era conciato male, tanto che aveva difficoltà a camminare”. Silvia, in servizio dal 2003 con il ruolo di “caposcrivano“, ha spiegato che “quella confidenza” su Cucchi non fu riferita a lui direttamente, non “approfondì e non l’ha rappresentata successivamente ai suoi superiori”.

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