Corrompendo con 500 euro un agente della polizia penitenziaria, il boss Maurizio Cortese è riuscito a fare entrare in carcere un cellulare con il quale comunicava con i propri affiliati e continuava a gestire gli affari della cosca Serraino. Quanto successo nella casa circondariale di Torino è emerso nell’inchiesta “Pedegree” della Dda di Reggio Calabria. Il poliziotto non è stato ancora identificato ma l’indagine stamattina all’alba ha portato all’arresto di 12 persone accusate di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, illecita concorrenza con violenza o minaccia e incendio. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso che sono stati commessi per agevolare la ‘ndrangheta.

La squadra mobile di Reggio Calabria ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Filippo Aragona su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dei sostituti Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Sara Amerio, Paola D’Ambrosio e Diego Capece Minutolo. Oltre al boss Cortese, in carcere è finita anche la moglie Stefania Pitasi ritenuta promotrice della cosca e “portavoce” sul territorio del marito detenuto. Era lei, infatti, a fungere da “postina” veicolando i messaggi e le direttive che Maurizio Cortese le affidava durante i colloqui carcerari e tramite la corrispondenza epistolare e telefonica.

Suo padre è Paolo Pitasi, finito ai domiciliari perché gravemente malato. Era l’uomo di fiducia del mammasantissima Francesco Serraino, il “Re della Montagna” ucciso a metà degli anni ottanta nella seconda guerra di mafia. Il genero di quest’ultimo, Domenico Sconti, compare anche lui nell’elenco degli arrestati assieme a Sebastiano Morabito, esponente della cosca Libri. In carcere sono finiti, inoltre, Domenico Morabito, Salvatore Paolo De Lorenzo, Antonino Filocamo, Antonino Barbaro, Sebastiano Massara, Carmelo Leonardo e Bruno Nucera. Nell’inchiesta “Pedegree” sono complessivamente 16 gli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Grazie alle intercettazioni telefoniche, la squadra mobile ha ricostruito le dinamiche criminali della cosca Serraino e, in particolare, l’ascesa di Maurizio Cortese nel locale di San Sperato.

“Quando c’era lui tremavano pure le foglie”. La frase dell’indagato Salvatore Paolo De Lorenzo descrive bene la figura di Cortese che dal boss Nino Labate veniva definito addirittura “un numero uno”. Catturato da latitante nel 2017 dalla Squadra Mobile e dai Carabinieri, il boss quarantenne è riuscito a scalare le gerarchie della cosca Serraino intrattenendo legami anche con gli esponenti delle altre famiglie di ‘ndranghete come i Labate detti “Ti Mangiu” e Gino Molinetti dei De Stefano-Tegano, recentemente arrestato nell’ambito dell’operazione “Malefix”.

L’inchiesta ha fatto luce su alcune estorsioni commesse ai danni di imprenditori e commercianti ai quali la cosca Serraino imponeva beni e servizi. I proventi delle estorsioni poi venivano reinvestiti in attività commerciali: bar e negozi di generi alimentari e ortofrutta, intestati a prestanome, che stamattina sono stati sequestrati dalla Dda. I sigilli sono stati applicati alle ditte individuali “Un mondo di frutta Vip di Nucera Bruno”, “Le primizie di Leone Massimo”, il bar “Mary Kate” e il “Royal Café”. A proposito dei bar, l’inchiesta della squadra mobile ha dimostrato come il boss Maurizio Cortese prima ha “autorizzato” il suo affiliato Domenico Morabito ad avviare il “Mary Kate” in una zona controllata dalla cosca Labate e poi ha dato l’ordine di distruggere l’esercizio commerciale. Due incendi in un mese che sarebbero serviti ad avvantaggiare il “Royal Café” gestito da Antonino Filocamo, un altro indagato che i pm inquadrano all’interno della cosca Serraino.

Nell’inchiesta sono emersi anche i contatti con la politica. In particolare con l’ex consigliere regionale di Fratelli d’Italia Sandro Nicolò, arrestato l’estate scorsa nell’ambito dell’operazione “Libro Nero”. “Compare non stai facendo niente per questa campagna elettorale, non ti stai impegnando”. “Non dite queste cose”. “Se te lo dico io mi devi credere, non ti stai impegnando, io te lo dico, vedi un attimo nella famiglia tutti quanti, però”. È il dialogo tra l’ex consigliere regionale e il suo “collettore di voti” Domenico Morabito intercettato dagli uomini della mobile guidata da Francesco Rattà.

“Nell’ambito di questa indagine, che viene avviata dopo l’arresto di Maurizio Cortese nel 2017, – spiega il procuratore Bombardieri durante la conferenza stampa – è confluita parte di un’inchiesta precedente relativa sempre allo stesso contesto criminale in cui venivano registrate alcune conversazioni dalle quali emerge il ruolo dell’arrestato Domenico Morabito come ‘uomo di rispetto’. Abbiamo registrato l’interesse di Morabito come ‘collettore di voti’ dell’ex consigliere regionale Alessandro Nicolo”. “Si fa riferimento – aggiunge Bombardieri – alla necessità di un incontro tra Nicolò e Domenico Sconti, un personaggio all’epoca già condannato e il cui rilievo criminale era ben noto. Non abbiamo contezza che l’incontro sia effettivamente avvenuto ma della fase preparatoria”.

A proposito di Domenico Sconti e dei suoi contatti con la politica ne ha parlato anche il pentito Pino Liuzzo che nei mesi scorsi ha deciso di collaborare con la giustizia. “Mico Sconti – fa mettere a verbale Liuzzo – ha raccolto voti per Matacena, Scopelliti, per Alberto Sarra e per Alessandro Nicolò”. Il riferimento, quindi, è al sostegno elettorale che la cosca Serraino negli anni ha dato non solo al consigliere regionale di Fratelli D’Italia, ma anche all’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena (oggi latitante a Dubai), all’ex governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti e al sottosegretario regionale Alberto Sarra, imputato nel processo “Gotha”. Con l’inchiesta “Pedegree”, e ancora prima con l’indagine “Malefix dei giorni scorsi, per il procuratore “abbiamo ricostruito gli interessi delle varie cosche nelle diverse aree della città. Questa è un’importante attività investigativa che si è sviluppata in un periodo recente. Quello che ci sconvolge, invece, è l’episodio di un professionista, un dentista, che avvicinato dalla cosca preferisce rivolgersi al boss Paolo Pitasi, suocero di Cortese, piuttosto che allo Stato”.

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