Il tie-break nel tennis equivale ai calci di rigore del calcio. È una sorta di lotteria. In una partita è il momento in cui la pressione raggiunge il suo culmine e dove un errore diventa difficilmente recuperabile. Nello sport più nobile del mondo è stato introdotto nel 1965 da Jimmy Van Alen, uno dei padri della International Tennis Hall of Fame. Il primo Major ad introdurlo furono gli Us Open nel 1970. All’epoca però il vincitore doveva totalizzare cinque punti e non sette come avviene oggi. A Wimbledon bisogna aspettare l’anno successivo (da giocarsi sul 8-8). Negli ambienti tradizionalisti di Church Road non è facile far passare una novità così grande. La spinta decisiva per l’introduzione del tie-break arriva nel 1969. Charlie Pasarell e un 41enne Pancho Gonzales disputano a Wimbledon un incontro di 5 ore e 12 minuti, per un totale di centododici giochi. Vince Gonzales per 22-24, 1-6, 16-14, 6-3, 11-9. Quando ha questa idea Van Alen non poteva immaginare che, quindici anni dopo, la sua invenzione avrebbe dato luogo a uno dei momenti più memorabili della storia del tennis. Il “Tie-break del secolo”. Trentaquattro punti, racchiusi in ventidue minuti, di cui ancora oggi si parla con emozione, a distanza di 40 anni.

È il 5 luglio 1980. A Wimbledon siamo nel quarto set. Uno statunitense di 21 anni si appresta a battere. Ha una folta chioma ricciola, indossa una polo di Sergio Tacchini e ha uno strano movimento con il servizio – nato per ovviare a un problema alla schiena – che sconcerta i puristi del gioco. È John Patrick McEnroe. È un attaccante mancino con un tocco di palla da predestinato e, sopratutto, ha una personalità ruvida e incontrollabile. I suoi siparietti contro gli avversari e gli arbitri sono già noti. Tanto da assegnargli il soprannome di “Superbrat”, super moccioso. Nella sua bacheca ci sono già gli Us Open 1979. Questa è la sua prima finale a Wimbledon. Il punteggio lo vede sotto per due a uno. E pensare che McEnroe aveva iniziato quella partita sorprendente tutti. Il primo set se n’era andato via in soli venti minuti, 6-1. Per arrivare a quel tie-break aveva dovuto fare i miracoli. In particolare due. Sono i match point consecutivi annullati sul 5-4 sul servizio del numero uno del mondo, lo svedese Bjorn Borg.

Classe 1956, Borg è la perfetta antitesi di McEnroe. Gioca da fondo campo, non sbaglia una palla e ha il rovescio a due mani. Una prassi al giorno d’oggi ma una rarità all’epoca. Proprio per queste sue caratteristiche nella storia del gioco c’è un prima e un dopo Bjorn Borg. Inoltre ha una capacità di autocontrollo sui suoi istinti focosi davvero unica. Ha iniziato a primeggiare presto Borg. A 18 anni vince il suo primo Roland Garros. In bacheca ne ha già cinque. A Wimbledon invece non perde una partita dai quarti del 1975, quando a batterlo fu il primo giocatore di colore a trionfare sui campi dei Championships, Arthur Ashe. Trentaquattro match consecutivi per un totale di quattro edizioni vinte. Quel match però si è rivelato fin da subito uno dei più difficili. Non tanto per il 6-1 iniziale di McEnroe, quanto perché impiega più di un’ora per strappare il servizio all’avversario. Nel secondo parziale ha dovuto anche annullare ben tre palle break sul 4-4 che avrebbero potuto mandare lo statunitense a servire per salire due set a zero. Invece alla fine Borg è riuscito a spuntarla per 7-5. Il 6-3 del terzo parziale sembra il preludio per il quinto titolo consecutivo. Eppure anche lui davanti al record assoluto ha tremato. La lotteria incerta del tie-break è il prezzo da pagare per quei due match point mancati.

A Wimbledon sono da poco passate le cinque del pomeriggio quando inizia il tie-break. I primi punti scorrono via rapidi. McEnroe e Borg tengono agevolmente i propri turni di servizio. Poi sul 4-4 arriva il primo mini-break. È di Borg, ma McEnroe lo recupera immediatamente. Con il punto del 6-5 Borg si crea un terzo match point. Annullato anche questo con una difficile volée in allungo. Nel punto successivo, lo svedese si toglie dalle scarpe la volée di McEnroe e lo passa con l’incrociato di rovescio. 7-6 e quarto match-point. Stavolta però è Borg ad essere infilato. Altro passante pochi istanti dopo e McEnroe guadagna il suo primo set-point. Lo svedese lo annulla con una risposta perfetta che fa crollare a terra l’americano. Per il numero uno le occasioni per chiudere saranno altre tre. La più ghiotta è quella sul 11-10, quando serve. Il nastro però ha deciso che quella sfida non doveva ancora concludersi. Per McEnroe invece le occasioni saranno altre sei. L’ultima arriva sul 17-16. Borg serve centrale, la risposta di McEnroe è innocua ma velenosa. La palla ricade appena sotto la rete, in una zona di campo a lui non congeniale. La volée è maldestra. La palla si spegne sulla rete. È 18-16. Si va al quinto. In totale i match point annullati da McEnroe sono sette. Sugli spalti del Centre Court nessuno ha mai assistito a un livello così alto di tennis.

In una partita normale, a questo punto, tutta l’inerzia sarebbe dalla parte di McEnroe. Ma Bjorn Borg non è un giocatore normale. Dal suo soprannome, Iceman, si può capire molto di come lui viva il tennis. Sia in campo che fuori. Due quindici. È il tempo che lo svedese ci mette per ristabilire il suo rigore psicologico. Nel primo turno di servizio del quinto set va sotto 0-30, ma da lì in poi farà suoi tutti i punti al servizio tranne uno, restando sempre avanti nello punteggio. Al contrario McEnroe tiene i suoi turni rischiando tantissimo. Già nel secondo gioco deve annullare tre palle-break consecutive. Sul 4-3 Borg la situazione si ripete. A Wimbledon si va avanti ad oltranza ma più passano i minuti e più la pressione sull’americano cresce. Siamo sul 7-6 per Borg. Sul 15-30, McEnroe serve a uscire da sinistra ma la risposta di rovescio dello svedese lo costringe a una demi-volée incerta. Borg passa. Ci sono altri due match point. McEnroe serve con efficacia e ma il numero uno risponde infilandolo con un passante incrociato dei suoi. È l’ultimo punto. È finita: 1-6 7-5 6-3 6-7(16) 8-6.

In mezzo al Centre Court lo svedese cade in ginocchio. Ha compiuto ciò che nessuno era mai riuscito a fare. Vincere cinque volte consecutive Wimbledon. Un record che sarà solo suo per ventisette anni. Fino a quando non arriverà Roger Federer. Per Borg sarà anche il canto del cigno. L’anno successivo arriva la sesta vittoria al Roland Garros ma di fatto la sua carriera termina con quell’ultima vittoria sull’erba londinese. Dice addio al tennis un anno e mezzo dopo, a quasi 26 anni, corroso dalla sua maniacalità per il gioco. Nel 1981 lo scettro passa – in classifica come a Wimbledon – proprio a McEnroe, con cui condivide una delle rivalità più grandi e sentite della storia del tennis. Un dualismo che ha toccato l’apice proprio quel 5 luglio a Wimbledon. Grazie anche a Jimmy Van Alen.

Twitter: @giacomocorsetti

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