Beppe Grillo ha un piano per la digitalizzazione e lo sviluppo della fibra in Italia. Di fronte agli ultimi dati sull’arretratezza digitale del Paese, il cofondatore del Movimento 5 stelle è arrivato alla conclusione che “il male minore, in questo momento difficile, può essere quello di avere un’unica infrastruttura, anche privata ma aperta a tutti, purché sia in grado di fare gli investimenti necessari a colmare una volta per tutte il gap tecnologico che abbiamo rispetto agli altri”. Ma la strada maestra resta quella di una società unica che faccia perno su Cassa depositi e prestiti. Una proposta, quella di Grillo, sulla quale si è mostrato possibilista anche il premier Giuseppe Conte, intervistato da Peter Gomez e Simone Ceriotti alla festa per i 10 anni de ilfattoquotidiano.it: “Sulla banda larga dire che vogliamo salire al 20.25% implica dei passaggi societari e confrontarsi con società che sono sul mercato. L’idea di Grillo è buona ed è una delle modalità che potrebbero essere sperimentate”.

Quella di Grillo è un’entrata a gamba tesa nella partita Open FiberTim, che nel frattempo trattano rispettivamente con i fondi Macquarie e Kkr interessati all’ingresso nelle due società. Dal garante M5s arriva la richiesta di ricambio ai vertici della partecipata di Enel e Cdp (“Bisogna cambiare subito l’amministratrice delegata di Open Fiber. Non all’altezza. E nominare una persona che inizi a lavorare alla fusione con Tim”) e l’auspicio che lo Stato sempre attraverso Cdp salga al 25% nell’ex monopolista per raggiungere una quota almeno pari a quella di Vincent Bollorè. L’ultimo tassello del piano è che la conquista della maggioranza di Tim comprando le azioni in mano a Bolloré: “A quel punto avremmo la maggioranza di Tim per avviare la creazione di un’unica società integrata Rete Mobile, 5G, banda ultralarga. Evitando che due soggetti con partecipazioni statali si facciano la guerra“.

La premessa è che “siamo costretti a registrare a distanza di anni il completo fallimento dell’esperimento “Open Fiber”, la società che avrebbe dovuto spingere la digitalizzazione e lo sviluppo della fibra in tutta Italia. Le aree bianche, quelle su cui per intenderci nessuno voleva investire per dotarle di una rete all’altezza del resto del Paese, continuano ad essere arretrate come il terzo mondo, dal momento che Open Fiber, dopo essersi accaparrata bandi e relativi soldi pubblici, ha fallito miseramente registrando ritardi ormai incolmabili“. A fine gennaio il ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, ha spiegato che l’attuazione del Piano per la banda ultralarga varato dal governo Renzi è molto indietro: “Avrebbe dovuto essere implementato fino all’80% entro il 2020, ma se arriveremo al 40% saremmo già autori di un’accelerazione forte”.

“Bisogna ricordare che nel nome del libero mercato il Governo Renzi aveva legittimato Enel, azienda completamente estranea al mercato delle tlc, ad investire insieme a cassa depositi e prestiti (che usa i soldi dei risparmiatori postali) nel nuovo operatore Open Fiber. Il tutto per fare competizione agli altri principali operatori tradizionali, innescando quella che invece si è rivelata una spirale di investimenti in duplicazione che oggi sta generando uno spreco inaudito di risorse”. Non solo: “CdP da una parte è azionista di Telecom e dall’altro è azionista (addirittura al 50%) di Open Fiber che fa concorrenza proprio a Telecom, roba da paese schizofrenico quale solo l’Italia può essere”.

E allora secondo Grillo occorre cambiare impostazione: “Anni fa sempre parlando della rete delle telecomunicazioni scrissi che non poteva esistere un vero mercato se chi possedeva la rete erogava anche i servizi (per intenderci Telecom). Arrivai alla conclusione che la rete dovesse rimanere in mani pubbliche o, almeno, essere soggetta al controllo dello Stato con una partecipazione rilevante”. Ma “visto quello che è successo con Open Fiber che, tramite i suoi azionisti Enel e CdP (entrambe società controllate dal MEF), avrebbe dovuto realizzare questo obiettivo di azione pubblica sulla rete, mi sento di dire che il male minore può essere quello di avere un’unica infrastruttura, anche privata ma aperta a tutti”. Dopo la choc del Covid “serve prudenza e razionalità nell’allocare le risorse e le grandi corporate non possono pensare di creare due autostrade di fibra parallele che scorrono l’una affianco all’altra”.

Per evitare “altri errori e ulteriori ritardi”, il garante M5S propone tre azioni. “A mio parere il perno è Cassa Depositi e Prestiti, che pur essendo un soggetto finanziario, avrebbe la capacità di scegliere un management all’altezza per arrivare ad una fusione in un soggetto unico. Bisogna cambiare subito l’amministratrice delegata di Open Fiber. Non all’altezza. E nominare una persona che inizi a lavorare alla fusione con Tim”. Poi “fare entrare Cdp in Tim con un’ulteriore cifra del capitale che deve essere pari a quella di Bollorè (circa il 25%)”. E infine visto che “le azioni Tim sono ai minimi storici (circa 0,7), dalla posizione di forza di Cdp, proporre ai francesi di vendere. A quel punto avremmo la maggioranza di Tim per avviare la creazione di un’unica società integrata Rete Mobile, 5G, banda ultralarga”. La chiusa chiama in causa il numero uno di Cdp Fabrizio Palermo, chiedendogli disponibilità a “spiegare i dettagli” del piano.

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