L’Italia resta sempre più indietro in Europa nel grado di digitalizzazione dell’economia e della società, anche a causa della scarsa educazione tecnologica. L’edizione 2020 del rapporto europeo Desi, appena diffusa dalla Commissione, vede la Penisola scivolare di una posizione nella classifica dei Paesi Ue, scendendo dal 24esimo al 25esimo posto. Peggio fanno solo Romania, Grecia e Bulgaria. Ancora peggio se si guarda solo alla dimensione del capitale umano, quella cioè che riguarda le competenze digitali: nel 2019 l’Italia ha perso due posizioni e si colloca ora all’ultimo posto nell’Ue.

Se ci si concentra sugli indicatori di connettività, invece, il Paese è al 17esimo posto: tra 2018 e 2019 le famiglie che hanno accesso alla banda ultralarga (velocità superiore a 100 Mbps) sono salite solo di quattro punti percentuali, dal 9 al 13%. “L’entità dell’intervento pubblico messo in campo in questi anni ed affidato alla concessionaria Open Fiber avrebbe dovuto condurre a risultati ben diversi”, ha commentato Marco Bellezza, amministratore delegato di Infratel, la società pubblica incaricata dell’attuazione della Strategia Italiana per la banda ultralarga. A fine gennaio il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli aveva ufficializzato che l’obiettivo di concludere l’80% del piano per la banda ultralarga nel 2020 sarà ampiamente mancato.

Il 17% degli italiani non ha mai usato internet e solo il 74% degli italiani lo usa abitualmente. E la Commissione rileva “carenze significative” per quanto riguarda il capitale umano. Rispetto alla media Ue, l’Italia registra livelli di competenze digitali di base e avanzate “molto bassi”. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (contro il 58% nell’Ue) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’Ue). Sebbene sia aumentata, raggiungendo il 2,8% dell’occupazione totale, la percentuale di specialisti Ict in Italia è ancora al di sotto della media Ue (3,9%). Solo l’1% dei laureati è in possesso di una laurea in discipline Ict (il dato più basso nell’Ue), mentre gli specialisti Ict di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici (cifra leggermente inferiore alla media Ue dell’1,4%).

Tutto questo spiega come mai, sebbene il Paese si collochi in una posizione relativamente “alta” nell’offerta di servizi pubblici digitali (e-government), il loro utilizzo rimane “scarso”. Analogamente, le imprese italiane presentano ritardi nell’utilizzo di tecnologie come il cloud e i big data, così come per quanto riguarda il commercio elettronico.

I dati che precedono la pandemia di Covid-19, conclude la Commissione, indicano in compenso che il Paese è in una “buona posizione” in termini di preparazione al 5G, dato che sono state assegnate tutte le bande pioniere e sono stati lanciati i primi servizi commerciali.

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