Stadio Bernabeu di Madrid, 11 luglio 1982. Forse la sfida meno incerta della lunga rivalità calcistica tra italiani e tedeschi. Tecnicamente le due squadre si equivalgono. La differenza la fa la componente emotiva. Dopo la tripletta di Paolo Rossi al Brasile l’ambiente azzurro è attraversato da un’esaltazione trascinante. La Polonia, in semifinale, è apparsa quasi una squadra di seconda fascia. Nessuno crede che l’Italia di Bearzot possa perdere. Anche dopo il rigore sbagliato da Cabrini nel primo tempo. Le vittorie contro i brasiliani e i polacchi hanno abituato all’idea che, prima o poi, Paolo Rossi segnerà. Ed è quello che successo al minuto 57. Sul cross basso e tagliato di Gentile l’attaccante azzurro colpisce di testa, spingendo la palla in fondo alla rete. È il suo sesto gol. Quello che gli vale la classifica cannonieri e il Pallone d’Oro a fine anno. E pensare che a quel mondiale Rossi non doveva nemmeno esserci. I due anni di squalifica per calcioscommesse erano terminati appena due mesi prima, ma Bearzot lo aveva voluto fortemente in Spagna.

La Germania è incapace di reagire e dodici minuti dopo va a picco. Serie di passaggi dentro all’area di rigore avversaria tra Bergomi e Scirea. La sfera arriva a Tardelli, posizionato al limite. Il controllo non è perfetto. Lo è però il suo sinistro in scivolata. L’urlo del giocatore della Juventus diviene l’esultanza simbolo del calcio italiano. In tribuna Pertini scatta in piedi, braccia al cielo. Ma non è ancora finita. A nove minuti dal termine c’è ancora spazio per il contropiede di Bruno Conti. Assist per Altobelli, dribbling a Schumacher e tre a zero. “Non ci riprendono più”, esulta Pertini. E sarà così. La rete tedesca di Breitner serve solo a rendere meno amara la sconfitta. Quarantadue anni dopo l’ultima volta l’Italia è campione del mondo. Sull’aereo del ritorno si disputa una partita di scopone tra Zoff, Bearzot, Causio e Pertini. Ad assistere, posizionata in mezzo al tavolo, c’è la terza Coppa del Mondo italiana.

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