Non ci sono i tifosi, si entra in campo una squadra per volta e gli arbitri ovviamente a parte. I ritmi sono quelli di un’amichevole, degli anni ’80 peraltro. Ma è calcio, e va bene così. E se non rimarrà nella storia delle partite di calcio più gradevoli, la semifinale di ritorno di Coppa Italia tra Juve e Milan è comunque un match storico, il primo dopo il lungo stop per l’emergenza Covid. Finisce 0 a 0 e la Juve, forte dell’1 a 1 ottenuto a San Siro all’andata con un rigore al 91esimo è la prima finalista della manifestazione.

La gara inizia con un minuto di raccoglimento che stavolta è davvero da brividi: i volti di un medico, un’infermiera e una operatrice socio-sanitaria, in questi mesi in prima fila contro il Covid, e i loro occhi mentre sono al centro del campo non sono un’emozione da poco. In campo dall’inizio anche Dybala, tra i calciatori positivi al coronavirus nei mesi scorsi e ovviamente guarito, seppur comprensibilmente non in gran forma. Da quanto visto nei 90 minuti comunque la sensazione è che più di fuoriclasse, difensori e centravanti la differenza la faranno i preparatori atletici: la paura di forzare dopo mesi di inattività è fortissima, i ritmi molto bassi e la lucidità mentale poca.

Nel Milan in particolare l’inizio è da incubo: la Juve va via spesso, i rossoneri non vanno oltre lanci in praterie deserte, i pensieri sono annebbiati. Quelli di Conti che la tocca di gomito, abbastanza volontariamente in area, mandando sul dischetto un Ronaldo anch’esso in formato lockdown che la manda sul palo. Idem quelli di Rebic che nell’azione successiva travolge Danilo a gamba altissima, venendo giustamente espulso. Ma anche in questo caso sembra che più della cattiveria l’intervento scriteriato sia una conseguenza della disabitudine al pallone e al campo. Espulsione che arriva solo al 17esimo minuto: oltre 70 minuti in 10 sembrano troppi per un Milan così in affanno, ma al contrario la pressione della Juve si abbassa e i rossoneri pure se in 10 respirano.

Ma il Milan non ha la forza per provare un assalto volto a ribaltare il risultato e probabilmente neppure la voglia: la consapevolezza è che forzare sia pericolosissimo e magari meglio abdicare da una finale di Coppa Italia che rischiare infortuni che, aggiungendosi a quelli già avvenuti, andrebbero a precludere il prosieguo di un campionato che, visti gli ultimi sviluppi, andrà a conclusione. Neppure le cinque sostituzioni, altra introduzione regolamentare volta a tutelare l’integrità dei calciatori dopo il lungo stop, fa cambiare l’andazzo della partita, che si trascina fino al fischio finale senza sussulti né da parte di un Milan che dovrebbe cercare di raddrizzare la gara né di una Juve che pure avrebbe gli spazi per chiuderla definitivamente. Ma come detto, contava più giocarla e basta, rivedere il campo e il pallone a prescindere dall’utilizzo, bello o discutibile che se ne sarebbe fatto. La Juve va in finale, il Milan no, ma più di chi andava e chi restava fuori stasera contava chi tornava: il calcio giocato.

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