Dal 30 giugno 2020 i terremotati delle Marche che dal sisma del 2016 alloggiano in strutture ricettive, dovranno lasciare alberghi e bed and breakfast, che da quasi 4 anni sono ormai diventati la loro casa. Una “decisione univoca”, spiegano dalla Protezione civile regionale, presa in accordo con i Comuni e con la struttura nazionale, che, sottolineano, “non lascerà nessuno senza assistenza“. Secondo il piano della Regione, infatti, le persone ancora rimaste nelle strutture, avranno diritto a benefici alternativi (come scritto nell’ordinanza nazionale 614 del 12 novembre 2019), come la percezione del Cas (il contributo di autonoma sistemazione) o un container, “sicuramente più economici per il sistema Paese”. Il problema, spiegano però dal Comitato 30 ottobre di Tolentino, tra le città con il maggior numero di nuclei familiari ancora in hotel, è la realtà. “Mancano le abitazioni da affittare – denuncia la portavoce Flavia Giombetti a ilFattoquotidiano.it – E se anche le trovi non sono costi sostenibili con gli assegni del Cas“.

Al momento, a circa 20 giorni dallo “sfratto”, non è chiaro dove andranno i terremotati accolti in alberghi: circa 120 secondo la Regione, oltre 220 secondo gli ultimi dati della Protezione civile nazionale aggiornati a metà maggio. Tre le soluzioni possibili. Oltre ai container e alla ricerca di un appartamento in affitto, infatti, ciascun cittadino potrebbe accordarsi con la struttura ricettiva, stipulando un contratto privato da pagare tramite Cas. Una soluzione “difficile” per molti albergatori, come spiega Antonella Parrucci del residence “La Corte” di Tolentino, sia dal punto di vista burocratico che economico: “Converrebbe chiudere”. E il destino, visto il poco turismo dell’entroterra, sembra essere quello. Senza l’indotto derivante dai terremotati, infatti, ripartire con la stagione turistica, soprattutto post-Covid, e dopo quattro anni di “riconversione“, sarà “quasi impossibile”. “Sono strutture che lavoravano moltissimo sulla stagionalità – commenta però al Fatto.it Davide Piccinini, dirigente della Protezione civile regionale – noi abbiamo garantito una costanza di ingresso su parametri similari a una pensione. Quindi penso che così come il sistema Paese deve ringraziare loro, altrettanto loro dovrebbero ringraziare dei guadagni che hanno potuto avere”.

La denuncia: “Terremotati trattati come pacchi. Scoperto tutto perché non pagavano un’albergatrice”
“Pacchi da spostare”. Prima in strutture ricettive, poi in container o in appartamenti in affitto. Tutto in attesa, dopo quasi quattro anni, di riavere una propria abitazione, o comunque un alloggio pubblico dove tornare a vivere. Un’odissea senza fine quella dei terremotati marchigiani che, proprio durante l’emergenza coronavirus, oggi si trovano a dover cercare un altro alloggio. “Non si capisce perché solo nelle Marche – dice ancora Giombetti sottolineando la situazione di Tolentino – Qui abbiamo rifiutato le Sae (Soluzioni abitative emergenziali) promettendo una casa di edilizia pubblica in tempi brevi, e ritrovandoci con un’emergenza abitativa. Abbiamo 250 persone ancora nei container, e circa altri 25 nuclei familiari negli hotel. Le case in affitto non si trovano e chi le ha difficilmente le dà, per esempio, agli extracomunitari, visto che i Cas non bastano spesso a coprire il costo dell’appartamento”.

Tutto parte da un’ordinanza nazionale, la 614 del 12 novembre 2019. Una direttiva che entro il 17 febbraio doveva rimodulare l’accesso ai benefici, sia al Contributo per l’autonoma sistemazione sia all’alloggio presso strutture ricettive. In pratica entro quella data gli hotel sarebbero stati svuotati, e gli assegni per pagare l’affitto differenziati tra chi prima del Sisma possedeva un’abitazione e chi, invece, era in locazione. Un’eccezione, però, contenuta nell’articolo 5, permetteva a chi ancora vive negli alberghi di presentare una documentazione per rimanere nelle strutture, corredata ad esempio dalle dichiarazioni di due agenzie immobiliari che sottolineavano l’impossibilità di trovare una casa in affitto, come accade a Tolentino. Di fatto, spiegano dalla Protezione civile nazionale, con i giusti documenti il cittadino avrebbe potuto alloggiare nelle strutture “fino al termine dell’emergenza”, posticipata al 31 dicembre 2020. Un’ulteriore ordinanza poi, sempre a firma di Angelo Borrelli, del 28 aprile 2020, specifica alcuni passaggi della precedente direttiva, dando il via libera alla ricerca di un appartamento “anche nei comuni limitrofi” rispetto a quello di residenza. Da qui, secondo il Comitato 30 ottobre, la decisione della Protezione civile della regione Marche, vista la possibilità di cercare appartamenti anche fuori Comune, di chiudere i contratti con gli alberghi il 30 giugno.

“L’abbiamo scoperto perché una struttura non era stata pagata ”, dice Giombetti. In effetti, come dimostra lo scambio di mail tra l’albergatrice Parrucci e la Regione che il Fatto.it ha potuto visionare, la notizia dello sgombero delle strutture arriva dopo un contenzioso su un pagamento. Secondo quanto dichiarato dal Comune di Tolentino, al 14 febbraio tutti gli ospiti delle strutture gestite da Parrucci avevano il via libera a rimanere. “Così a fine marzo ho rendicontato come sempre – spiega l’albergatrice – Ma alcuni nominativi inseriti non erano accettati dal sistema”. Quindi la trafila, via mail, con la Protezione civile regionale che, dopo un controllo, blocca i pagamenti. Poi la sorpresa. “Con una lettera datata 5 giugno, come un fulmine a ciel sereno, mi hanno fatto sapere che il 30 giugno sarebbe cessato il contratto – dice ancora Parrucci – E, per di più, che io stessa avrei dovuto dire agli ospiti (i terremotati ndr.), tra cui famiglie con disabili e anziani, che se ne sarebbero dovuti andare”. Secondo quanto scritto nella comunicazione, “nel periodo di tempo rimanente dalla data odierna alla data suindicata, i soggetti beneficiari, anche con l’aiuto del Comune di provenienza, sono invitati ad attivarsi per trovare una soluzione abitativa alternativa, ricordando la possibilità, se in presenza dei requisiti previsti, di fare richiesta del Contributo di Autonoma Sistemazione presso il Comune di provenienza”, oppure, “nel caso in cui vi fosse la disponibilità da parte del proprietario / gestore della struttura ricettiva ospitante a mantenere il nucleo presso la struttura stessa, tale permanenza potrà essere solo ed esclusivamente stabilita in accordo privato tra le parti (struttura – beneficiario), senza carico sulla contabilità emergenziale”. Una mossa, secondo Parrucci, dovuta anche all’emergenza Covid. “Hanno costruito l’ospedale in Fiera con dei costi di gestione di 1 milione di euro al mese, i soldi dovevano pur prenderli da qualche parte”, dice l’albergatrice.

La protezione civile: “Tema che non si sviluppa ora, così assistenza più economica”
Lo stop ai contratti vale solo per la Regione Marche e non per le altre del cratere, cioè Umbria, Abruzzo e Lazio. La decisione però, dicono dall’Ufficio della protezione civile regionale, non arriva inaspettata, ma dopo un dialogo e una serie di comunicazioni con i Comuni, iniziate già con la prima ordinanza di novembre. “Noi pensiamo che come Protezione civile la nostra forma di assistenza non cesserà, ma avverrà in forme più economiche – spiega a ilfattoquotidiano.it Davide Piccinini – Per esempio una famiglia di 4 persone ora spende 4800 euro in albergo, mentre con il Cas avrebbe diritto a circa 1000 euro”. Una Protezione civile, quindi, che “trasforma la gestione emergenziale in un’ottica di economicità” e che, sottolineano, “non mette in mezzo alla strada nessuno”. Tutte le ordinanze, dicono, sono state rispettate. Così chi aveva necessità per terminare l’anno scolastico o per determinate fragilità o semplicemente perché non trovava una soluzione alternativa, “è rimasto negli hotel”, ma ora “di fronte a questo tipo di convenienza siamo obbligati a usare dei criteri”. Molti, sostengono dalla Regione, gli albergatori che, nonostante le difficoltà “hanno stipulato contratti privati con i terremotati”, anche se non tutti hanno già trovato forme alternative di alloggio. “Se alcuni non se la sentono di legarsi con un privato – specificano ancora – il Comune può farsi garante, utilizzando lo stesso Cas”. E, a chi fa notare che così gli stessi albergatori perderanno quella che è stata la loro attività per quasi quattro anni, Piccinini risponde: “Abbiamo garantito più stagionalità d’ingresso, quindi penso che così come il sistema Paese deve ringraziare loro, altrettanto loro dovrebbero ringraziare dei guadagni che hanno potuto avere”.

Gli albergatori a rischio chiusura: “Qui turismo a zero”
Non tutti, però, senza la riconversione a strutture ricettive per i terremotati sono convinti di poter ripartire. Se prima del Sisma, infatti, tra soggiorni di lavoro, turismo estivo e parenti di residenti in visita, le strutture riuscivano a vivere, ora riprendere l’attività sembra impossibile. “Con l’alloggio per i terremotati sono sopravvissuta – spiega ancora Antonella Parrucci – E non essendoci più turismo ho pensato di chiudere o di affittare a 300 euro a settimana per chi può permetterselo. La Regione dice che i turisti ci sono, ma i dati sono falsati e contano gli stessi sfollati come soggiornanti”. Il danno è anche “morale”, oltre che economico. “Spingono sul fatto che la struttura alberghiera ‘ha fatto i soldi’, ma non è così – chiosa Giombetti – L’albergatore ha lavorato dando un tetto nel momento in cui chi si doveva prendere cura di queste persone non lo ha fatto”.

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