“Se gioco ancora? Ma no, solo per divertirmi quindi tornei di beneficenza o amichevoli con gli amici: campionati dilettantistici no, a 50 anni mettermi a discutere su dove sono stato e cosa ho fatto non è divertimento”. E dire che con quei piedi in grado di pennellare cross e spolverare incroci dei pali ancora oggi, a 50 anni e con qualche chiletto in più allieterebbe le “domeniche bestiali” di tifosi e compagni. Piedi, quelli di Pierluigi Orlandini che hanno fatto diventare l’Italia under 21 campione d’Europa, col suo golden gol, il primo della storia, in finale col Portogallo nel 1994.

Qualche stagione tra i dilettanti a fine carriera l’ha fatta Orlandini: uno che nel tridente stava con Bergkamp, per dire, ma ora niente più cross per i compagni, niente più tiri nel sette. Oggi Gigi Orlandini è in Puglia e dopo aver allenato per un po’ i grandi oggi ha una scuola calcio, insegna ai bimbi il campo, prima che il calcio: “Mi piace allenare e coi ragazzini è gratificante: sono spugne, apprendono molto di quello che cerchi di trasferirgli mentre con gli adulti fai fatica, è più difficile perché hanno già delle convinzioni che fai fatica a smussare, se sbagliate. E certo, mi aiuta aver giocato a certi livelli: l’esperienza e anche la possibilità di confrontarmi”.

E se ai tempi in cui i campi e gli spalti erano popolati (male, ma popolati) abbiamo visto che nelle categorie giovanili i genitori onorano in pieno il nome di questa rubrica, Gigi sfata un mito: “Avevo immaginato anche io che la principale difficoltà sarebbe arrivata dai genitori ma devo dire che non è così, o almeno non completamente. Bisogna capire che non si può pretendere che un genitore prenda il bambino e ti dica ‘tienilo, io vado fuori dalle scatole’: ti sta affidando ciò che ha di più prezioso. Devi dare regole anche a loro: quando vengono a iscrivere figli gli spiego il programma cui dovranno attenersi i ragazzi e anche loro. Poi però non devono minimamente entrare in discorsi tecnici, sia chiaro, altrimenti diventano limitanti e in ogni caso è qualcosa che non accetto. Si vedono troppo spesso bambini che in campo sbagliano e si girano verso i genitori per valutarne la reazione: non va bene”.

E un no secco anche alla vendita di illusioni: “Pensare che uno ti prende il bambino e lo trasforma in calciatore di Serie A è come pensare che esistano le bacchette magiche. Se si pensa questo potremmo dire che il modello Atalanta è fallimentare perché non tutti quelli che entrano nelle giovanili nerazzurre (di cui lo stesso Gigi è un prodotto ndr) diventano calciatori di successo, e invece è il migliore d’Italia se non d’Europa. I bambini non devono diventare campioni per forza”.

Starebbe ore a parlare dei suoi bimbi Gigi, molto più che a rivangare vecchi ricordi di campo, ricordi comunque più gradevoli rispetto al calcio di oggi: “Mi annoio parecchio, dico la verità: è un calcio molto diverso dal mio. All’epoca si guardava al gesto tecnico, alla prodezza: al bello. Oggi sento solo parlare di errori e non di chi ha giocato bene, di arbitri e non del resto della partita. Non è granché e nemmeno l’idea di calcio proposta: si scimmiottano mister come Guardiola, e intendiamoci, è uno che ha innovato il calcio, ma è difficile fare il suo gioco senza quel tipo di calciatori, quindi a che pro imitarlo?”. E infatti Orlandini cerca di uscire dai dogmi, pur avendo avuti allenatori importanti: “Ho imparato qualcosa da tutti, quindi non mi ispiro a nessuno in particolare. Se devo proprio nominare qualcuno allora dico che la miglior persona incontrata è stata Carletto Ancelotti”. Inutile chiedere del compagno più forte, se hai giocato con Roberto Baggio non serve.

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