Gli anticorpi dei pazienti guariti sono un tesoro terapeutico. Come è avvenuto per la plasmaterapia che, a Pavia e Mantova ha mostrato una via di cura per i malati molti gravi, anche a Bergamo è stata ideata una terapia sperimentale salvavita utilizzando le preziosissime sostanze proteiche.

Dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ha affrontato in prima linea l’emergenza coronavirus, arriva una proposta terapeutica nata da una intuizione: l’estrazione degli anticorpi da pazienti guariti dal Covid-19 per infonderli in malati gravissimi. La nuova tecnica è merito dell’idea dei medici della Nefrologia, che hanno riconvertito un macchinario finora servito per curare un’altra patologia.

“Usavamo la tecnica per la nefropatia membranosa, una malattia dei reni dovuta ad anticorpi che impazziscono e aggrediscono l’organo distruggendolo – spiega Piero Luigi Ruggenenti, il direttore dell’unità di Nefrologia e Dialisi che coordina il progetto a cui partecipano anche i medici Stefano Rota e Diego Curtò -. Per la malattia dei reni il macchinario estrae quasi tutti gli anticorpi nocivi che finiscono in una sacca che poi buttiamo. Allora ci siamo resi conto che avremmo potuto applicare la procedura sottoponendo pazienti guariti dal Covid-19, in modo da prendere i loro utilissimi anticorpi“. L’estrazione dura circa due ore ed è praticamente indolore per il donatore. Una cannula prende il sangue, lo passa attraverso lo strumento che glielo restituisce privato degli anticorpi, bloccati da uno speciale filtro.

“Il macchinario ci è stato fornito gratuitamente da Aferetica, un’azienda che si trova nel polo industriale di Mirandola (Bologna), un centro con grandi menti italiane – continua Ruggenenti, che pur mantenendo la cautela non nasconde l’ottimismo per i risultati finora raggiunti -. Non possiamo ancora dire se sia la soluzione, dobbiamo continuare a raccogliere risultati. Di certo è una tecnica nuova, diversa da quella dell’estrazione del plasma. Posso solo dire finora nessun paziente è morto o ha avuto effetti collaterali”.

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