In occasione di questo primo maggio molto particolare, senza manifestazioni e senza concerti, occorre chiedersi se saranno ancora una volta i lavoratori a salvare l’Italia, bloccata dall’irruzione assassina del Covid in un Paese disastrato dal punto di vista sociale e sanitario.

In effetti, mentre padroni, padroncini e alti prelati, affiancati da politici impresentabili e disperati per il loro crollo infinito nei sondaggi, spingono irresponsabilmente verso la riapertura di tutto e subito, sono i lavoratori che, dall’inizio del lockdown, hanno chiesto con forza la chiusura delle produzioni non essenziali e l’adozione di misure di sicurezza efficaci.

Il conflitto tra profitto e salute dovrebbe risolversi, in un Paese civile, a favore della seconda, ma non è detto che in Italia vada a finire così. Come ripetutamente ammonito da medici e scienziati si rischia grosso, eppure i giocatori d’azzardo dell’economia e della politica se ne infischiano. Tanto, non sono certo loro a rischiare la pelle in prima linea.

Rischiano invece, e hanno pagato un pesante tributo in termini di vite umane, gli operatori sanitari, costretti a combattere il virus senza neanche, a volte, i più elementari dispositivi di protezione, e nell’ambito di un sistema sanitario debilitato da decenni di tagli e privatizzazioni, che li hanno ridotti a un numero palesemente insufficiente per fornire ai cittadini un’assistenza sanitaria adeguata, mentre il privato continua ad essere favorito, specie su fronti strategici come quello della ricerca.

Rischiano i braccianti, spesso migranti e rifugiati, contro i quali fino ad ieri si è diretto l’odio strumentale e demagogico dei Salvini di turno, e che invece oggi si scoprono essenziali per garantire che gli alimenti continuino ad arrivare sulle nostre tavole. Lo si scopre, ma ancora non si vogliono concedere a questi lavoratori diritti essenziali e li si lascia in balia di caporali e mafie.

Come ha scritto su il manifesto Marco Omizzolo – che del problema si occupa da tempo con passione e professionalità – “obbligati a lavorare senza mascherine e guanti, alcuni hanno usato per proteggersi sciarpe pesanti avvolte sul viso mentre eseguivano gli ordini del capo di turno. Hanno visto spesso aumentare le ore di lavoro quotidiano mentre continuavano a vivere in ghetti, baracche, residence abbandonati, lungo una filiera di sfruttamento che è diventata la colonna vertebrale di un’economia mafiosa ogni anno più sviluppata”.

Rischiano i riders, anche loro di importanza vitale di questi tempi, anche loro a rischio anche per la mancanza di ogni diritto e condannati alla precarietà più totale e a seguire ciecamente le direttive dei capetti che li manovrano come marionette usando gli invisibili fili del controllo a distanza.

Rischiano i poliziotti e i carabinieri, come pure i vigili urbani, che svolgono l’ingrato compito di garantire l’osservanza delle norme stabilite nell’interesse comune. Rischiano gli operai, che le grette aspirazioni di profitto della Confindustria vuole comunque e sempre sul posto di lavoro, anche mettendo a repentaglio la propria salute e quella della comunità in cui vivono, come dimostrato dal fatto che le zone industriali del Paese sono quelle dove si registra tuttora un altissimo numero di infezioni.

Le pandemie, come sempre accaduto nella storia, sono momenti essenziali di ristrutturazione sociale e dei comportamenti, come pure del potere. E’ compito delle organizzazioni sindacali autentiche, con in testa Cgil e Usb, ma anche dei comitati dei lavoratori che stanno sorgendo spontaneamente in numerose situazioni, imporre tutte quelle modificazioni nelle modalità di prestazione del lavoro che siano necessarie per garantire la tutela della salute, sia degli stessi lavoratori che della società nel suo complesso.

Al tempo stesso occorre che sia effettiva e rapida la tutela dei lavoratori di fronte ai licenziamenti, come richiesto dai giuristi democratici, e muoversi per il superamento del precariato e il varo di uno Statuto dei diritti del lavoro che riguardi davvero tutti i settori, dai braccianti ai sanitari, dai rider ai poliziotti.

L’unità dei lavoratori, a fronte dell’ennesima abdicazione della classe dominante a svolgere un ruolo di tutela dell’interesse nazionale, appare oggi più che mai l’unica garanzia valida per un’Italia coesa, solidale e attenta alla protezione dei valori costituzionali, primo fra tutti il diritto alla salute.

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