L’ultima guerra tra gli Stati del Golfo? Non si combatte a colpi di barile, visto il crollo dei prezzi del petrolio, né sullo scacchiere politico mediorientale. Ma su un terreno a noi molto più familiare: i campi della Premier League, il massimo campionato di calcio britannico. Tutto comincia poco più di un mese fa, quando Amanda Steveley, mediatrice d’affari very british con ottimi contatti nell’area (fu la regista nel 2013 dell’ingresso in Barclays da parte delle famiglie reali di Abu Dhabi e Qatar e dell’acquisizione dello sceicco Mansour, qatariota pure lui, del Manchester City), si presenta da Mile Ashley, patron del Newcastle, con un’offerta da 300 milioni per rilevare la squadra di calcio locale, protagonista della Premier ma dal pedigree un po’ decaduto.

L’80% della cifra messa sul piatto arriva direttamente dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita guidato dal principe ereditario Mohammed Bin Salman. L’offerta, al vaglio del board della Premier League, ha fatto immediatamente scattare la reazione dell’emittente del Qatar BeIn sports che detiene i diritti di trasmissione della massima serie britannica in molti Paesi. Il suo amministratore delegato Yousef Al-Obaidly ha preso carta e penna per far sapere alla dirigenza della lega inglese e ai presidenti delle altre squadre che secondo lui l’acquisizione è da bloccare, perché proprio Riad “ha fatto deprezzare il valore del campionato piratando le partite”.

“In Gran Bretagna i media sportivi si sono concentrati sul ruolo dell’Arabia Saudita nel network beoutQ che, secondo il patron di BeIn, trasmette illegalmente le partite della Premier League in Medio Oriente. Accusa che ovviamente i sauditi hanno rimandato al mittente”, spiega Daniele Fisichella, giornalista che ha collaborato per BBC e Talk Sport. La sfida pesa molto (i diritti worldwide della Premier valgono quasi 2 miliardi di euro l’anno, poco meno del triplo di quelli della nostra Serie A, e il Medio Oriente è un bacino di telespettatori fondamentale) ma non è solo economica: in ballo c’è l’egemonia nell’area del Golfo. “Le squadre di per sé non sono grandi fonti di reddito, ma per i fondi sovrani di questi Paesi hanno un enorme potere di relazione: molti cittadini arabi amano i loro brand più di quelli dei team locali“, rileva Eugenio Dacrema, ricercatore associato dell’Ispi.

“Il controllo di grandi club diventa così una questione di prestigio sia interna che internazionale”. Ecco perché su questo fronte la rivalità tra Stati petroliferi dura ormai da decenni. Il Qatar, dopo essersi svincolato dal protettorato britannico nel 1975, sino alla metà degli anni ’90 è stato quasi un satellite dall’Arabia Saudita grazie all’influenza che Riad riusciva a esercitare sugli imprenditori locali e i membri della famiglia reale. Nel 1995 con l’emiro Hamad Bin Khalifa al-Thani il piccolo stato inizia a smarcarsi dall’influenza del vicino e un anno dopo crea Al Jazeera, la tv che stravolge il panorama delle news in lingua araba controllate sino ad allora proprio da Riad. Nel 2004, dallo spin-off della divisione sport di Al Jazeera nasce BeIn sports, considerato attualmente il maggior broadcaster di eventi sportivi del mondo. Nello scorso decennio, dopo le primavere arabe, lo scenario geopolitico si è fatto ancora più caldo, tra accuse reciproche di supporto a gruppi terroristici e chiusura delle frontiere. Ma nel frattempo lo scontro si era già spostato anche sui campi da calcio. Il Qatar è stato il primo Paese a cavalcare lo sport come alternativa di investimento alla sua ricchezza petrolifera ma anche veicolo di popolarità: tra le 50 competizioni che il piccolo Stato porterà sul suo territorio entro il 2030 ci sono i mondiali Fifa del 2022.

A questa politica si aggiunge l’ingresso in club come il Paris-Saint-Germain, la proposta di acquisto di altri club inglesi come il Leeds nonché la sponsorizzazione per 7 anni del Barcellona tramite Qatar Airways. Da un paio d’anni Riad segue la stessa politica e dopo aver ospitato nel 2019 la finale di Supercoppa italiana ora punta al Newcastle. “Ora più che mai anche i sauditi hanno bisogno di operazioni glamour“, continua Dacrema. “Il crollo del greggio ha provocato un malcontento crescente verso la monarchia e un’acquisizione come questa è un tentativo di risollevare l’immagine della famiglia reale”. L’amministratore delegato della Premier League, Richard Masters, ha lasciato intendere che l’affare-Newcastle potrebbe chiudersi nel giro di 2 settimane. “A meno di un improvviso cambio di direzione nei rapporti diplomatici fra Londra e Riad sembra davvero difficile che un accordo di tale portata possa essere respinto, conclude Fisichella. “Il Newcastle è in vendita già da 3 anni, è considerato un patrimonio del calcio inglese, per storia e passione dei suoi tifosi, un po’ come il Napoli da noi. Ho l’impressione che in molti vogliano che il passaggio di consegne tra Mike Ashley e i nuovi proprietari vada a buon fine, sperando che la squadra ritorni competitiva”.

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