Non esisteva una letteratura scritta sull’argomento, ma nei bar di Novi Ligure se n’era sempre parlato molto. Il campione di ciclismo Costante Girardengo e il bandito anarchico Sante Pollastri si conoscevano e quest’ultimo era un fan del compaesano più giovane. A Luigi Grechi capitò un giorno di sentire questi racconti di paese e in dieci minuti scrisse quel capolavoro musicale che è Il Bandito e il Campione. “Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta, un’unica passione per la bicicletta. Un incontro di destini in una strana storia, di cui nei giorni nostri si è persa la memoria”.

Luigi Grechi la pubblicò nella musicassetta Azzardo nel 1990, un lavoro autoprodotto e registrato a sue spese in 500 esemplari. Quando il fratello minore la sentì, gli disse: “Bella… Mi piacerebbe un giorno farla io”. L’occasione ce l’ha tre anni dopo, nel momento in cui sta per pubblicare un disco live e vuole inserirci un inedito. L’album Il Bandito e il Campione sarà un successo di vendite, anche per i canoni di Francesco De Gregori. Perché il fratello più piccolo di Luigi (di cognome all’anagrafe fa De Gregori) è proprio lui.

“La maggior parte della gente non sa che l’ho scritta io – sorride Grechi – Non so a cosa sia dovuto il successo della canzone. Funzionava già prima che la cantasse Francesco. Capii che era riuscita bene, appena la composi e la suonai in pubblico”. Più tardi infatti su Girardengo (due Giri d’Italia e sei Milano-Sanremo tra le due guerre) e “il nemico pubblico numero uno” Pollastri vennero scritti libri, la Rai produsse una fiction tv, la Barnetti Bros Band (Massimo Bubola, Andrea Parodi, Massimiliano Larocca, Jono Manson) con il songwriter americano Tom Russell ne fecero una splendida cover. “Io continuai a indagare. Il giornalista Mario Fossati mi raccontò tante di quelle storie su Girardengo che avrei avuto materiale per riempire un nuovo disco. Ma non mi piacciono i sequel”.

Per la prima volta (e per il momento unica) Grechi metteva lo sport dentro ad una canzone. De Gregori invece aveva già scritto nel 1982 La leva calcistica del ’68, dove il pallone c’è già nel titolo. “Certo che mi piacerebbe averla scritta io, come quasi tutte quelle di Francesco: ce ne saranno al massimo cinque che non mi prendono abbastanza. Io ho in testa i riferimenti precisi di quel testo. Ricordo che Francesco andava a giocare con le squadrette di ragazzini e faceva il portiere. Conosco bene quell’ambiente periferico di Roma, ho presente il panorama che c’è dietro a quella canzone”. A differenza di Francesco, a Luigi il calcio non è mai piaciuto. “Non mi è mai interessato, non potrei scrivere nulla. Faccio fatica a seguire una partita, non conosco nemmeno il regolamento. Piuttosto preferisco l’atletica, mi ha sempre attirato la storia di Dorando Pietri, squalificato alle Olimpiadi di Londra perché un giudice lo sorresse sulla linea del traguardo”.

In questi giorni Luigi Grechi si trova nella sua casa in Umbria, a vivere la vita che pressappoco conduceva prima dell’emergenza sanitaria, ma senza la possibilità di andare on the road a fare quello che gli piace di più, cioè cantare le sue canzoni in giro per l’Italia. Avrà tempo per scrivere qualcosa sul maratoneta italiano di inizio Novecento. “No. Non scriverò una canzone su Pietri. Se l’ispirazione fosse venuta, l’avrei già scritta anni fa”.

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