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L’inquinamento luminoso non è normato ma è molto dannoso. Lo spiega una sentenza recente

L’inquinamento luminoso non è normato ma è molto dannoso. Lo spiega una sentenza recente
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Ve lo dico io prima che me lo diciate voi. Come si può parlare di tutela delle aree protette da inquinamento luminoso mentre la gente muore per questa tragica pestilenza?

Certo, sembra una assurdità ma se ci pensate bene (e magari vi leggete il mio ultimo post del 9 aprile) forse può venirvi il dubbio che, in realtà, come ha detto Papa Francesco, non possiamo illuderci di essere sani in un mondo malato. E che la nostra sopravvivenza ed il nostro benessere dipendono anche dalla “salute” e dal benessere delle altre specie viventi e dell’ambiente, oggi pesantemente compromessi proprio dalla specie umana e dai suoi eccessi.

Ecco perché, pur in mezzo a tante tragiche notizie, voglio parlarvi di una recentissima sentenza della Cassazione (Sez. III n. 9353 del 9 marzo 2020, pubblicata su www.lexambiente.it) dove si discuteva se il gestore di un locale nel parco naturale regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli aveva compromesso la salvaguardia dell’area protetta, adibendolo a discoteca all’aperto; diffondendo, così, musica ad alto volume (“bisognava urlare per percepire quello che si diceva”) ed “emissioni luminose, costituite da luci colorate che si alternavano e luci bianche che si irradiavano verso il cielo, con la caratteristica che il fascio bianco veniva proiettato in varie direzioni, in alto e lateralmente, mentre le luci colorate lampeggiavano, accendendosi e spegnendosi alternativamente”.

Ed è proprio su questo inquinamento luminoso, troppo spesso sottovalutato, che si concentra la Suprema Corte. Si legge, infatti, nella sentenza che, sotto tale profilo, l’emissione di fonti luminose di tale intensità, documentate dalle riprese audiovisive da parte degli agenti accertatori, fosse idonea ad incidere tanto sulla morfologia del territorio quanto sugli equilibri ecologici dello stesso.

Infatti, come documentato da numerosi studi scientifici, l’inquinamento luminoso ha sull’ambiente molteplici effetti negativi, che comprendono, tra l’altro, “l’alterazione delle abitudini di vita e di caccia degli animali, disturbi alla riproduzione ed alle migrazioni, alterazioni dei ritmi circadiani, alterazioni ai processi fotosintetici delle piante e al fotoperiodismo, e per l’uomo, abbagliamento, miopia e alterazioni ormonali in grado di diminuire le difese contro i tumori”. Evidenziando anche che “l’alternarsi tra il giorno e la notte, tra luce e buio, è uno dei fattori vitali sia per gli animali che per le piante. Nel momento in cui questo equilibrio viene alterato si creano danni irreversibili”.

Come avvenuto nel 1998 a Creta, dove la luce artificiale che illuminava a giorno gli alberghi sulle coste disorientava i piccoli di tartaruga marina, che invece di tuffarsi in mare, finivano per lasciarsi morire sulla spiaggia. E, addirittura, mette ad altissimo rischio la sopravvivenza di intere specie animali, come, ad esempio, le falene.

Insomma, in natura è tutto interconnesso e spesso anche un comportamento che ci sembra trascurabile può provocare danni notevoli all’ambiente ed alle specie viventi, favorendo, con l’affievolirsi della biodiversità, la vulnerabilità della specie umana.

E questo – come ben dimostra la sentenza, a prescindere dal caso specifico – vale anche per l’inquinamento luminoso provocato dall’uomo, che oggi nel nostro paese non è neppure regolamentato.

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