State calmi, se potete. Certo, cali rapidi e violenti impressionano, ma quando bisogna prendere decisioni di investimento l’emotività è sempre un pessimo consigliere. Anzi, è proprio quando tutti fuggono dai mercati che gli investitori più accorti fanno affari, acquistando a basso prezzo. Per chi ha investimenti in azioni è indispensabile non lasciarsi sopraffare dalla paura, comprendere alcune dinamiche e contestualizzare. La cosa che le Borse temono di più è l’incertezza poiché non riescono ad adeguare i prezzi a nuove condizioni che rimangono ignote. Nel dubbio si vende.

I listini salgono o scendono non se le cose vanno bene o male ma se vanno meglio o peggio del previsto. Nel momento in cui si inizieranno a delineare i confini di questa emergenza è possibile che le oscillazioni si riducano sensibilmente. Le borse occidentali hanno reagito con un certo ritardo all’emergenza: i cali sono iniziati solo nel momento in cui è stato chiaro che l’epidemia non sarebbe rimasta circoscritta alla Cina. A quel punto le vendite sono scattate tutte insieme. Oggi i due terzi delle compravendite di azioni è automatizzato, cioè deciso da algoritmi. Questi programmi “fiutano” quello che sta accadendo e si adeguano. Così amplificano l’effetto gregge quando tutti si muovono nella stessa direzione.

Non dimentichiamo che i listini erano su livelli mai raggiunti prima, favoriti anche dal continuo sostegno delle banche centrali. Il grafico dell’indice di Borsa più rappresentativo, ossia l’S&P 500 di Wall Street, aiuta a contestualizzare l’andamento delle ultime settimane nell’arco degli ultimi 5 anni. Molti tra coloro che hanno acquistato azioni sono ancora in guadagno. E le perdite, ricordiamolo, rimangono solo sulla carta finché non si vende e non si realizzano in concreto. Nelle settimane precedenti ai crolli, le Borse erano passate di record in record, fatto che stupisce più delle brusche flessioni degli ultimi giorni.

Grafico da Financial Times

Giova notare che in Cina ed Estremo Oriente si inizia a convivere con le limitazioni imposte dall’emergenza e a riavviare le attività produttive. Molte aziende stanno adottando accorgimenti, come la ferrea separazione tra reparti, per riprendere la produzione e gestire eventuali contagi senza che interferiscano con la normale attività. Non è un caso che in questo momento le Borse dell’estremo Oriente appaiano più calme rispetto a quelle europee e statunitensi, quasi che il peggio fosse stato ormai metabolizzato. Le banche centrali hanno ancora qualche margine di azione, soprattutto negli Stati Uniti. Soprattutto interventi a sostegno dell’economia decisi dai Governi e commisurati all’entità dell’emergenza potrebbero quietare i listini.

In passato i mercati hanno sempre recuperato anche i cali più violenti. Wall Street ritrovò i livelli precedenti il crac Lehman Brothers del 2008 nel giro di un anno. E’ opportuno valutare quando si potrà avere bisogno dei soldi investiti. Se dovessero servire a breve si rischia di portare a casa le perdite, se ci si può permettere di aspettare è verosimile che i mercati recuperino. Uscire dai mercati per poi rientrare quando le acque tornano calme può costare in termini di guadagni come si può vedere dal grafico.

Tuttavia è comprensibile la posizione di chi, di fronte all’attuale impossibilità di prevedere le esatte conseguenze dell’epidemia, decide di abbandonare l’azionario o, quanto meno, di prendersi una pausa dai listini. In tal caso è utile, innanzitutto, distinguere tra le diverse tipologie di titoli. Alcuni sono molto più sensibili a condizioni economiche avverse, altri vengono invece premiati nei momenti di difficoltà. E’ stato ripetuto sino alla noia che le azione legate a viaggi, lusso e turismo sono quelle più immediatamente esposte ai danni dell’epidemia. Ma, in generale, tutte le azioni cosiddette cicliche rischiano di pagare pegno. Tra queste anche le banche. Non sono rosee neppure le prospettive dei gruppi petroliferi, i cui utili si contraggono se le quotazioni del greggio scendono. Al contrario imprese che offrono prodotti i cui acquisti sono poco comprimibili come l’industria alimentare o i fornitori di gas ed elettricità, eccetera) offrono maggiori garanzie di tenuta. Va da sé che i farmaceutici dovrebbero persino beneficiare da questa situazione che convoglia fondi verso la ricerca di vaccini e favorisce l’aumento delle vendite di medicinali. Quando si decide di vendere non ha alcun supporto logico l’idea secondo cui sarebbe meglio vendere le azioni con cui si è già guadagnato e tenere quelle in perdita, nella speranza di un recupero. Nulla garantisce che le cose vadano in questo modo, anzi, è semmai più probabile che un titolo che ha guadagnato continui a guadagnare e viceversa.

E una volta vendute le azioni? Per chi vuole stare tranquillo, i prodotti che offrono maggiore sicurezza sono i titoli di Stato di paesi come Stati Uniti o Germania. O altri asset rifugio come dollaro e oro. Tuttavia, proprio perché in questo momento sono molto richiesti, il loro prezzo è alto e i rendimenti bassissimi o addirittura negativi. I rendimenti dei titoli di Stato statunitensi decennali sono ad esempio scesi sotto l’1% per la prima volta nella storia. I titoli di Stato italiani, al momento, rappresentano tutto sommato un buon compromesso tra livello di rischio e rendimento. Il dollaro potrebbe risentire dei probabilissimi nuovi tagli della Fed, deprezzandosi temporaneamente nei confronti dell’euro. L’oro sta riaffermando il suo ruolo di bene rifugio. Non ha nessun particolare valore intrinseco, ormai neppure industriale, ma finché la gente continua a ritenerlo un affidabile deposito di ricchezza tale rimane.

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