di Marilen Osinalde

Sono cresciuta in una piccola cittadina della provincia argentina. Ricordo di aver ascoltato fin da piccola racconti su quei medici che “arrotondavano” praticando aborti clandestini in casa. Quando chiesi che cos’era un aborto mi risposero: “Uccidere un bambino”. Capii che gli adulti non volevano parlare del tema, ma io sapevo che esisteva. Lo sappiamo tutti, lo abbiamo saputo sempre. Eppure una parte degli argentini continua a negare la realtà, vive come se non esistesse.

In Argentina l’interruzione volontaria di gravidanza è illegale, e gli aborti clandestini sono la principale causa di mortalità materna. Nel mio paese ogni quattro ore partorisce una ragazzina minore di quindici anni. E mentre in parlamento si sta per discutere la depenalizzazione dell’aborto, ancora si costringono minori vittime di violenza sessuale a dare alla luce il figlio del proprio violentatore. Nel 2019 il tribunale di Salta, nel nord dell’Argentina, ha obbligato a un parto cesareo una bambina di dodici anni violentata dal vicino di casa sessantenne. La legge le dava la possibilità di abortire ma il giudice non l’ha concesso. Il neonato è morto pochi mesi dopo.

Ho avuto amiche che hanno affrontato un aborto. E nel mio lavoro di psicoterapeuta ho assistito molte pazienti, vittime della disuguaglianza sociale e marginalizzate, costrette ad autopraticarsi un aborto in condizioni che superano la più violenta delle immaginazioni.

Soffrire in silenzio. Castigarsi e sentire il giudizio di chi pensa che avresti potuto comportarti meglio. Non ho mai visto una donna orgogliosa di avere interrotto una gravidanza. E ho accompagnato molte di loro. Eppure c’è ancora un fantasma nella nostra società che dice che se l’aborto fosse legale le donne correrebbero in massa a farne uno e l’intero sistema di salute collasserebbe. Come se fosse facile, come se un aborto non fosse devastante psicologicamente e fisicamente. “Non pagherò il tuo aborto con le mie tasse”, condannano alcuni Pro Vita, credendo di vedere Satana dietro alla faccia di una donna che interrompe la gravidanza. Mi chiedo se chi si permette di dare giudizi ha mai ascoltato le storie dietro a un aborto.

In Argentina, la campagna nazionale per la depenalizzazione e legalizzazione combatte da quindici anni per questo diritto. Una lunga serie di battaglie che hanno rafforzato il movimento, che è cresciuto e maturato. Nel 2018, nonostante un altro fallimento (il Senato ha bocciato il progetto di legge), le donne hanno dato visibilità a quello che tutti sempre abbiamo saputo ma non avevamo il coraggio di dire.

Durante il dibattito parlamentare Buenos Aires si vedeva divisa fra gli scogli azzurri come il colore scelto dai Pro Vita e una marea verde che chiedeva la legalizzazione. E tutte noi seguivano le notizie in grande attesa. Le argomentazioni usate da alcuni senatori contrari alla nuova legge sono state allucinanti. Una senatrice è arrivata a difendere la penalizzazione comparando le donne in attesa con una cagna e i suoi cuccioli.

Nel frattempo, decine di migliaia di donne scendevano in strada al canto di “Educazione sessuale per decidere, anticoncezionali per non abortire, aborto legale per non morire”. Fra loro, moltissime adolescenti che stavano già prendendo coscienza dei diritti sul proprio corpo.

La politica del movimento femminista argentino è pragmatica. A volte violenta nei toni, perché la violenza sulle donne è estrema. Nell’ultimo caso (ma dall’inizio del 2020 in Argentina c’è stato più di un femminicidio al giorno) un giovane ha soffocato la fidanzata adolescente, ha provato a bruciarla sopra una griglia da carne, poi ha fatto a pezzi il corpo e l’ha gettato in un fiume.

Il progetto di legge sull’aborto porta con sé altri dibattiti sulla possibilità di accesso a un sistema sanitario di qualità e sulla diseguaglianza di genere e di classe. Si stima che il giro d’affari degli aborti clandestini sia di circa 300mila dollari e che ogni anno 80mila donne vengano ricoverate in ospedale per interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni precarie. Le ricche abortiscono in perfette cliniche private, le povere come possono.

Fra poco il parlamento dovrà discutere di un altro progetto di legge sulla legalizzazione dell’aborto, questa volta presentato dal nuovo presidente della Repubblica Alberto Fernandez. Sappiamo già che il parlamento ospita le peggiori posizioni conservatrici e fondamentaliste. Ma non ci sono dubbi sulla forza del movimento. È una lotta collettiva e noi donne stiamo imparando cos’è la sorellanza, che non siamo più sole. Va molto oltre al dibattito sull’aborto, si tratta di corpi, diritti, eguaglianza, libertà, salute. La dedizione e la perseveranza del movimento femminista garantiscono che non si fermerà quando l’aborto sarà legale, sicuro e gratuito. Ci sarà ancora da lottare per l’applicazione della legge nella pratica e per cambiare un sistema di potere patriarcale che tutti giorni opprime e marginalizza le donne.

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