Quando si parla di epidemie, in Italia ci viene subito in mente la storia della peste bubbonica di Milano, quella descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, che sterminò una buona metà della popolazione di allora. Ci ricordiamo dei lazzaretti, dei monatti, degli untori, la colonna infame e tutto il resto. E, in effetti, la reazione attuale nei riguardi del coronavirus sembra simile a quella che ci fu con la peste bubbonica, compresa la ricerca degli untori, identificati oggi come i Cinesi, gli immigrati, i piddini, i buonisti e chi altro viene in mente agli esagitati di turno. Una reazione decisamente eccessiva, almeno per il momento.

Ma potrebbe succedere oggi qualcosa di simile alla peste bubbonica del ‘600? Ovvero un’epidemia che si porti via una frazione importante della popolazione? Diciamo subito che è molto poco probabile: Non abbiamo ancora dati sicuri, ma è chiaro che il nuovo Coronavirus non è nemmeno lontanamente paragonabile alla peste bubbonica in termini di letalità. Ci potrebbe fare dei danni, certo, ma di sicuro non è in grado di spopolare le nostre città. E, in effetti, il tempo delle grandi epidemie sembra passato da un pezzo. E’ vero che negli ultimi decenni ci sono stati molti allarmi: Aids, Ebola, Sars; ma nessuna pandemia che abbia ridotto in modo significativo la popolazione mondiale.

Ci sono delle ragioni per la sparizione delle grandi pandemie. Una è certamente il miglioramento della medicina e delle misure igieniche. Ma c’è anche il fatto che se esaminiamo i dati storici, vediamo che le epidemie veramente disastrose hanno sempre colpito popolazioni già in difficoltà per altre ragioni. Virus e batteri sono creature opportuniste che tendono a colpire dove trovano un bersaglio debole.

Infatti, come ci racconta Manzoni, la peste di Milano colpì una popolazione già stremata dalla carestia e della guerra. Questa è una regola generale che vale anche per l’ultima (finora) grande pandemia: l’influenza spagnola del 1918-1920 che era associata alle carestie della Prima guerra mondiale. Vale anche per l’epidemia di Aids che, al momento, è in netto declino nei paesi occidentali mentre si sta espandendo nei paesi poveri, afflitti da carenze alimentari e di altro tipo.

Oggi sono almeno 50 anni che non ci sono più carestie mondiali importanti. Non che manchi gente affamata, ma la combinazione del sistema economico globalizzato e delle alte rese agricole moderne permette di rifornire di cibo più o meno tutte le regioni del mondo. Anche in quanto a guerre non è che la situazione sia tranquilla, ma perlomeno non ce ne sono di importanti in corso. Questa potrebbe essere la ragione per la quale anche le pandemie si sono prese una lunga pausa.

Questo vuol dire che non dobbiamo preoccuparci del coronavirus? Non proprio: ci sono altri fattori che possono indebolire una popolazione. Non ci possiamo dimenticare che siamo tutti esposti a condizioni di inquinamento mai riscontrate prima nella storia: particolato fine, metalli pesanti, pesticidi, microplastiche e altre varie robacce. Forse non è un caso che il coronavirus abbia avuto origine in una delle zone più inquinate del pianeta: la Cina centrale. E che si sia diffuso da noi nella Pianura Padana, una delle zone più inquinate d’Italia.

Ovviamente, non è che ci dobbiamo aspettare il ritorno della peste nera, ma sarebbe prudente interpretare il coronavirus come un avvertimento. Un’indicazione che non tutto va bene in termini di salute è che l’aspettativa di vita ha interrotto la sua crescita dal 2014 in tutto l’Occidente, inclusa l’Italia, ed è in declino in molti paesi. La situazione è particolarmente grave nell’Est europeo, dove in molte zone si sta assistendo a un’effettiva depopolazione senza l’intervento di nessuna epidemia.

E non dimentichiamoci che sul fronte delle infezioni batteriche stiamo vedendo un declino dell’efficacia degli antibiotici: è una minaccia importante – come potete leggere nei rapporti della Commissione europea. Aggiungiamo fattori come la crisi economica e il declino del sistema sanitario e soprattutto il cambiamento climatico in corso, e vediamo che non siamo messi tanto bene.

In sostanza, la migliore arma contro future pandemie è una popolazione in buona salute che vive in un ambiente sano e in un clima stabile. Ed è quello che dobbiamo cercare di ottenere. Se ci lavoriamo sopra seriamente, non ci capiterà di vedere di nuovo i “monatti” della peste di Milano in giro per le nostre città.

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