La tregua è ancora in vigore, nonostante sia saltata la firma dell’accordo a Mosca per il cessate il fuoco tra il premier riconosciuto dalle Nazioni unite e sostenuto dalla Turchia, Fayez al-Sarraj, contro quelle del generale Khalifa Haftar, appoggiato da Russia, Egitto ed Emirati Arabi, che rifiuta un ipotetico ruolo di mediazione di Ankara proprio perché “non neutrale”. Ma a Tripoli continuano ad arrivare i rinforzi per Sarraj: il Guardian dà conto dell’arrivo di duemila combattenti siriani partiti dalla Turchia per sostenerlo. Arrivi che, sul fronte di Haftar, spingono il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, a chiedere ai Paesi arabi di contrastare “l’invasione turca della Libia”. E durante una riunione del Parlamento panarabo in corso al Cairo, Saleh ha ribadito il suo no al memorandum di intesa raggiunto tra il governo di Tripoli e quello di Ankara, sostenendo che il premier di Tripoli “al-Sarraj non ha alcun diritto a firmare accordi internazionali”. Intanto gli Usa hanno deciso che saranno presenti alla conferenza sulla Libia prevista domenica 19 gennaio a Berlino con il segretario di stato Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien. Una scelta che intende arginare il crescente protagonismo diplomatico di Mosca.

Combattenti a Tripoli – Un dispiegamento iniziale di 300 combattenti della seconda divisione dell’Esercito nazionale siriano, organizzazione ombrello di gruppi ribelli siriani finanziato dalla Turchia, secondo il Guardian ha lasciato la Siria il 24 dicembre, seguito da un contingente di altri 350 uomini il 29 dicembre. I combattenti sono stati trasferiti a Tripoli in aereo, dove sono stati inviati a posizioni di prima linea. Altri 1.350 uomini hanno attraversato il confine con la Turchia il 5 gennaio. Alcuni sono già stati dispiegati in Libia, mentre altri sono ancora impegnati nell’addestramento in una struttura militare nel sud della Turchia. Altri combattenti che fanno parte della Legione islamista Sham, scrive ancora il Guardian, starebbero per essere trasferiti in Libia.

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