di Riccardo Mastrorillo

Il 3 gennaio scorso un blitz, condotto da droni, ha ucciso a Baghdad il generale iraniano Soleimani. Questo omicidio si inquadra in una situazione geopolitica complessa. Vogliamo soffermarci su due aspetti di questa pericolosa situazione, due elementi che pochi commentatori hanno evidenziato in questi giorni.

L’omicidio di Soleimani è stato deciso dal Presidente Donald Trump. Molti esperti hanno spiegato la strategia che avrebbe portato Trump a prendere questa decisione, con l’obiettivo di rafforzare il suo potere in vista dell’imminente votazione sull’impeachment e delle prossime elezioni di novembre. Ma poco importa quale sia stata la motivazione di una decisione così grave. Crediamo sia importante valutare soprattutto il metodo di questa decisione.

Possiamo accettare che un individuo possa decidere di far uccidere una persona? Ammettendo, per assurdo, la giustezza di poter uccidere: restiamo profondamente contrari a qualsiasi tipo di sentenza capitale, figuriamoci se possiamo accettare un omicidio senza un regolare processo, senza la possibilità che la vittima possa scagionarsi dalle accuse. La civiltà di una istituzione si vede soprattutto nei principi: l’esecuzione di un pericoloso criminale è sempre una sconfitta della civiltà.

In questi giorni ci sono stati due attentati perpetrati da terroristi muniti di coltello, uno in Israele e uno in Francia: il soldato israeliano che ha sventato l’attentato ha sparato alle gambe del giovane palestinese e lo ha consegnato alla giustizia; gli agenti francesi alla periferia di Parigi hanno circondato il folle omicida e gli hanno sparato, uccidendolo.

Il 29 novembre scorso, a Londra, un altro terrorista, che ha aggredito alcune persone a colpi di coltello, “a un certo punto è stato circondato da alcuni passanti uno dei quali lo ha affrontato scaricandogli addosso il contenuto di un estintore, alla fine è arrivata la polizia che lo ha ucciso a colpi di pistola tra la folla che filmava con i cellulari ‘l’esecuzione‘”.

Il 28 aprile del 2013 un uomo ha attraversato piazza Colonna a Roma e ha aperto il fuoco. Le forze dell’ordine hanno risposto: lo hanno ferito e bloccato. L’obiettivo dell’uso della forza dovrebbe essere neutralizzare gli aggressori, non ucciderli, ed è proprio in questa impercettibile differenza che si distingue la civiltà giuridica dal “far west”.

Ritornando a Soleimani e a Trump, la domanda che continua a riproporsi è: si può accettare che un’esecuzione venga disposta in modo inappellabile da un solo uomo? Fino a quando la civiltà del diritto non avrà giurisdizione anche nelle controversie internazionali, nessuno potrà sentirsi veramente al sicuro. Rischiare di essere uccisi in un attentato terroristico è una cosa; rischiare di essere uccisi perché un capo di stato decide inappellabilmente una sentenza di morte nei tuoi confronti è sicuramente meno probabile, ma assolutamente intollerabile.

Dopo l’omicidio di Soleimani abbiamo assistito in Italia a un susseguirsi di prese di posizione tra le più sconvolgenti: Matteo Salvini ha giustificato la decisione di Trump, mentre una “certa sinistra” ha deciso di rispolverare slogan vetusti di 30 anni fa. Qualcuno ha sostenuto che l’attacco col drone fosse partito dalla base Nato di Sigonella (in Sicilia) proponendo l’immediata uscita dell’Italia dalla Nato; molti hanno riutilizzato un termine desueto, parlando dell’“imperialismo” americano, ma non è mancato chi ha individuato nel capitalismo il vero responsabile di questa crisi.

Nessuno che si sia soffermato, come sommessamente cerchiamo di fare noi, a considerare questo fatto dentro un concetto di diritto e di civiltà. Perché in fin dei conti a quella “certa sinistra” il diritto e la civiltà non interessano minimamente: l’obiettivo è solo attaccare gli Stati Uniti, l’economia di mercato e la libertà, sempre con la certezza dell’arrivo del “sol dell’avvenire”, di una società più giusta, della fine della povertà, della violenza e delle malattie, evitando, nel modo più assoluto, di spiegare come questo possa accadere.

L’esistenza dei conflitti, anche internazionali, è una realtà e dovremmo concentrarci sulle regole perché i conflitti siano civili ed equilibrati – e possibilmente risolutivi – per un periodo, consci e consapevoli che altri conflitti e altre lotte nasceranno poco dopo: per sognare una società e un mondo senza conflitti bisogna essere o utopisti o in malafede.

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