I negoziati vanno avanti, la stretta di mano è lontana. E a leggere la memoria depositata da ArcelorMittal per replicare al ricorso cautelare d’urgenza dell’amministrazione straordinaria la multinazionale non ha alcuna intenzione di ammorbidire la propria posizione, per quanto fonti vicine al dossier descrivano la mossa come un passaggio “obbligato” e non una scelta “aggressiva”. Eppure l’intesa non c’è e negli atti spunta di nuovo l’immunità penale che il colosso dell’acciaio aveva derubricato a non sufficiente per restare. La distanza tra la posizione dello Stato e quella dei franco-indiani è marcata: all’accordo di massima – sulla base del quale poi bisognerà instaurare la trattativa vera e propria – manca la definizione dell’entità, della misura e della modalità degli interventi degli eventuali soggetti pubblici e privati italiani che potrebbero entrare nell’operazione per rivitalizzare l’Ilva di Taranto, alle prese anche con lo spegnimento dell’altoforno 2 deciso dal giudice Francesco Maccagnano e per il quale i commissari hanno presentato ricorso al Riesame.

Tre gli scenari che si prospettano a questo punto: se prima dell’udienza di venerdì 20 dicembrefrutto di un primo slittamento voluto dalle parti – non verrà trovata un’intesa di principio allora si andrà allo scontro in Tribunale con la discussione e la decisione del giudice Claudio Marangoni nei giorni successivi; sarà raggiunto prima dell’udienza un accordo sui macrotemi e le parti congiuntamente chiederanno un rinvio dell’udienza alla settimana successiva o a gennaio per i negoziati. Terza ipotesi: le parti avranno bisogno di qualche giorno in più per trovare l’intesa di massima e chiederanno un rinvio al 23 dicembre o a dopo le festività. Al momento, sono queste ultime due possibilità quelle con maggiori chance di concretizzarsi, in particolare la terza.

Il giudice nelle scorse settimane aveva rinviato il procedimento a venerdì 20 per consentire alla “trattativa” di “svolgersi sulla base delle intese e degli impegni assunti”. Con la presentazione, poi, nei giorni scorsi del nuovo piano industriale 2020-24 di ArcelorMittal, però, il quadro era cambiato, perché le affermazioni del gruppo sui 4.700 esuberi erano state ritenute assolutamente “inaccettabili” dai commissari dell’Ilva. Il negoziato, comunque, anche dopo la presentazione di quel piano “inaccettabile”, è andato avanti e sta proseguendo ancora con lo Stato rappresentato da Francesco Caio, scelto come frontman della trattativa. Un anno fa circa, ArcelorMittal, vincendo la gara e firmando il contratto, si impegnò a garantire, indipendentemente dalla situazione del mercato, 10mila posti di lavoro e a pagare, in caso contrario, una penale di 150mila euro per ogni lavoratore lasciato a casa.

Secondo la ricostruzione fatta dai commissari straordinari nel ricorso d’urgenza, quanto è mutato lo scenario di mercato mutato e sono sorte difficoltà nella gestione, ammesse anche da alcuni dirigenti di ArcelorMittal ascoltati dai pm di Milano nell’ambito dell’inchiesta aperta nelle scorse settimane, la multinazionale avrebbe deciso di fuggire e ritirarsi dall’investimento. Uno scenario che ora nella memoria i franco-indiani respingono in maniera ferma: “Non è affatto vero che ArcelorMittal stia cercando un alibi per eludere i propri impegni contrattuali dopo averne compiuto una diversa valutazione per ragioni di convenienza economica”, si legge nella memoria di 57 pagine depositata nelle scorse ore.

“In questa sede, le resistenti non replicheranno alle numerose frasi iperboliche, enfatiche e sarcastiche utilizzate dalle ricorrenti anche per attribuire una dimensione di estrema gravità politico-istituzionale a una controversia che, seppur molto importante, ha natura contrattuale e deve essere risolta un base alle applicabili norme del nostro ordinamento”, si legge ancora. “ArcelorMittal non ha bisogno di alibi”, insistono elencando una serie di fatti come lo scudo penale ora ritenuta “condizione necessaria” anche se nel primo atto per sciogliere il contratto veniva indicato come non fondamentale, la rappresentazione “lacunosa e fuorviante” da parte dell’amministrazione straordinaria sulle prescrizioni sull’altoforno 2 sin dal 2015, e gli interventi effettuati – dismissione e investimenti per 345 milioni di euro – rispetto ai quali tuttavia “ArcelorMittal si è trovata in una situazione completamente diversa da quella concordata a causa di decisioni e condotte altalenanti e imprevedibili di autorità pubbliche e soggetti istituzionali (come il governo e i commissari straordinari)”.

Se è “vero” il “rilievo strategico attribuito a uno stabilimento industriale non può essere strumentalizzato per costringere un investitore (come ArcelorMittal) ad accettare evidenti violazioni degli impegni contrattuali e lo stravolgimento del contesto (anche normativo) in cui sono stati assunti, imponendogli di continuare a svolgere l’attività produttiva come se nulla fosse e di accettare assurdamente il rischio di responsabilità penali che erano state escluse al momento e proprio in funzione del suo investimento”.

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