Non tutte le proteste, che stanno insorgendo contemporaneamente in diverse parti del mondo, hanno la stessa visibilità mediatica. Cile, Iraq, Haiti, Ecuador, Hong Kong sono alcuni esempi, incluso anche il Libano, di cui ho potuto essere testimone in prima persona durante una mia visita la scorsa settimana. Le parole utilizzate dai manifestanti, contro una corruzione spudorata e gli standard inadeguati di amministrazione nei loro paesi, sono sorprendentemente simili. I manifestanti cileni sono finalmente riusciti a provocare un processo per scrivere una nuova Costituzione – vista come una radice della disuguaglianza.

I media internazionali hanno dedicato servizi relativamente brevi alla maggior parte di queste proteste, ad eccezione di Hong Kong, perché collegati da un tema comune e impegnativo. I manifestanti sono stanchi della precarietà, stanchi di combattere per qualche briciola mentre una classe privilegiata si nasconde dietro la propria ricchezza. Stanchi di contribuire, con il loro lavoro, alla creazione della ricchezza del loro paese senza però avere l’opportunità di godersi i frutti del loro impegno. Data la realtà dei fatti, per cui la maggioranza dei media è controllata dal sistema e ha supportato il sistema attuale di concentrazione della ricchezza, non ci sorprende che queste insurrezioni contro l’ineguaglianza siano scarsamente documentate. L’unica regolarmente attenzionata dai media è quella di Hong Kong, forse perché si inserisce bene nella narrativa democrazia occidentale contro il comunismo e non mette a rischio le strutture economiche più profonde.

Alcune proteste, per esempio quella del Libano, sono ancora nella fase luna di miele; sono esuberanti e gioiose, vengono espresse con danze, canti, cibo e condivisione e fino ad ora sono state represse in modo blando. Alle manifestazioni hanno partecipato nonne, conservatori, progressisti, bambini, persone di ogni classe e religione, la gente ha persino manifestato con i loro cuccioli di cane al guinzaglio.

Il centro di Beirut si è trasformato in un’enorme università all’aperto con stand che offrono insegnamenti di ogni genere, dal supporto legale per i diritti Lgbtq alle campagne ambientaliste. I gruppi per i diritti delle donne hanno convinto gli altri protestanti a non utilizzare insulti sessisti riguardo ai politici.

E’ stato stupendo vedere gente di diverse culture confrontarsi ed imparare l’uno dall’altro, uniti come non mai negli spazi pubblici e coscienti della propria forza mentre il governo invece annaspa cercando di risolvere problemi di lunga data e affronta una corruzione scandalosa e ministeri ormai agonizzanti.

I manifestanti libanesi hanno anche preso ispirazione dalla resistenza italiana, cantando l’inno partigiano ‘Bella ciao’ riadattato in arabo. Bilab shai, che suona un po’ come bella ciao ma che si traduce inzuppalo nel tè, veniva intonato ironicamente dopo le dimissioni del primo ministro. Inzuppalo nel tè cantavano i manifestanti mentre chiedevano dei cambiamenti importanti e non una mera sostituzione di un leader corrotto con un altro.

In Cile, le proteste hanno incentivato il dialogo tra i movimenti anti-ineguaglianza e il movimento ambientalista. La cancellazione della conferenza climatica delle Nazioni Unite COP25 ha ricordato a molti giovani quanto siano realmente interconnessi i problemi di disuguaglianza e di distruzione ambientale – e che molte delle stesse compagnie e istituzioni finanziarie sono alla radice di entrambi i mali. Ed è per questo che il concetto di una “green new deal” (o Rinascimento Green, in Italia) è stato perseguito come soluzione in molti paesi, per difendere la natura e garantire un livello di vita dignitoso.

In Italia, il senso di precarietà sta facendo montare reazioni e sentimenti di incertezza tra le persone – soprattutto al Sud: l’eclatante situazione in cui versano i lavoratori dell’ex Ilva – Arcelor-Mittal a Taranto così come a Novi Ligure, il caso di Whirlpool a Napoli hanno suscitato movimenti di protesta e scioperi, portando i cittadini in piazza e nelle strade. Su Change.org, sono nate diverse petizioni in solidarietà con tutti loro, così come sono state tante (36mila) le firme a sostegno dei lavoratori Manital, che chiedono maggiori tutele e di essere pagati regolarmente.

Molte delle persone che decidono di mobilitarsi per i diritti di chi lavora su Change.org, lo fanno mettendoci la propria faccia e la propria storia: è dall’Ilva che è nato il grido disperato di Antonio, operaio che chiede di abbassare da 35 a 25 gli anni di contributi per un lavoro come il suo, che mette a dura prova la salute di chi lavora in queste fabbriche. Ed è stato il vigile del fuoco Luca Cipriani, operativo da 34 anni, a lanciare la petizione per garantire l’assicurazione Inail a tutti i lavoratori del Corpo, il minimo sindacale per chi è esposto quotidianamente a rischi che possono anche costare la vita, come purtroppo ci ricordano i più recenti fatti di cronaca con la drammatica morte di 3 pompieri a seguito dell’esplosione della cascina di Alessandria.

Una delle battaglie più grandi – quella per l’assistenza sanitaria e l’indennità di malattia ai lavoratori autonomi, che prima ne erano sforniti – è stata vinta attraverso la nostra piattaforma.

Oggi, i lavoratori autonomi ne stanno combattendo un’altra, per contrastare il fenomeno dell’“esercito di lavoratori” de facto dipendenti ma mascherati da partita Iva e sottoposti a tutele pressoché nulle, a beneficio del datore di lavoro. Forse i politici dovrebbero rendersi conto che se non metteranno davvero al centro i lavoratori, attraverso la redistribuzione di ricchezza e investimenti e tutelando in primis i posti di lavoro, potrebbero essere costretti a lasciare i loro incarichi molto prima del previsto. Altri paesi ci stanno già dimostrando come si fa.

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