Lo stillicidio non ha fine. La Camera dei Comuni ha respinto stasera la mozione presentata dal governo britannico di Boris Johnson per portare il Regno Unito al voto anticipato il 12 dicembre. Il mancato sì dell’opposizione laburista ha impedito di raggiungere il necessario quorum dei due terzi, come già in due altre occasioni. Al governo Tory resta però ora la strada di sostenere la nuova proposta di altri 2 partiti d’opposizione, LiberalDemocratici e Scottish National Party, per andare al voto il 9 dicembre modificando a maggioranza semplice da domani la legge vigente sulle elezioni.

Il capogruppo dell’Snp ai Comuni, Ian Blackford, e la leader LibDem, Jo Swinson, hanno spiegato di non volere le elezioni alle condizioni del governo, per impedire di lasciare il tempo a Johnson di ri-sottoporre al Parlamento prima del voto il suo accordo di divorzio dall’Ue temendo che una parte di deputati del Labour lo possa appoggiare e far passare come già avvenuto in prima lettura. Ha inoltre indicato l’intenzione di associare alla propria proposta per le elezioni il 9 alcuni emendamenti in favore della possibilità di allargare il diritto di voto politico a 16enni e 17enni britannici e, se possibile, anche a cittadini Ue residenti da tempo nel Regno.

“Questo Parlamento ha esaurito la sua funzione”, aveva detto il primo ministro argomentando la mozione presentata dal suo governo per chiedere le urne. Il premier Tory aveva aggiunto che avrebbe “preferito attuare la Brexit” il 31 ottobre come aveva promesso, ma ha accusato la Camera di aver rinviato il suo deal e l’opposizione di non rispettare il referendum del 2016: il risultato è un rinvio di “altri tre mesi” che il popolo non vuole e a un costo di “un miliardo di sterline al mese in più”.

“Non si può continuare a rinviare” una decisione sulla Brexit, ha affermato Johnson, puntando in particolare il dito contro il Labour, indicato come l’unico partito che resta a questo punto titubante sulle elezioni, e contro il leader laburista Jeremy Corbyn. Che ormai “non ha più scuse” per opporsi a elezioni che per mesi ha detto di volere. Elezioni che, ha proseguito Johnson, anche “secondo la sua logica” dovrebbe volere, se non altro per cercare di vincerle e per negoziare un altro deal con l’Ue, visto che rifiuto quello raggiunto dal governo attuale.

In tarda mattinata è arrivato l’ennesimo rinvio dell’uscita: “I 27 Paesi Ue hanno deciso di accettare la richiesta del Regno Unito di una ‘flextension’ fino 31 gennaio 2020. La decisione sarà formalizzata con una procedura scritta” che dovrebbe concludersi entro martedì o mercoledì, ha annunciato su Twitter il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Si tratta di una estensione “flessibile”: il progetto prevede una scadenza al 31 gennaio, ma con la possibilità che il Regno Unito lasci l’Ue il 30 novembre o il 31 dicembre in caso di ratifica dell’accordo di uscita prima di tali scadenze.

E Johnson rilancia: “Chiederò agli Stati membri dell’Ue di chiarire che un’ulteriore proroga dopo il 31 gennaio non sarà possibile”, ha scritto BoJo (come lo chiamano i quotidiani oltre la Manica) nella lettera indirizzata a Tusk nella quale conferma l’ok formale del Regno Unito alla estensione flessibile, ma la definisce “indesiderata” e parla di “imposizione” al suo governo contro la sua volontà”.

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