L’edizione 2019 di Eurhop, la kermesse birraia che porta ogni anno a Roma il meglio della produzione italiana e internazionale, è la prima dopo il successo ottenuto in estate dal settore brassicolo con l’abbassamento delle accise. È entrato infatti in vigore a luglio il decreto del ministero dell’Economia che taglia del 40% le imposte sul consumo a favore dei birrifici artigianali con produzione inferiore ai 10mila ettolitri annui (tutti i marchi indipendenti esclusi alcuni grandi nomi facilmente reperibili nei supermercati). La riduzione, oltre ad armonizzare il peso dell’imposizione fiscale sui livelli europei, interviene positivamente sui bilanci facendo prevedere, in futuro, un vantaggio per il consumatore in termini di calo dei prezzi.

Il settore brassicolo nazionale, giova sempre ripeterlo, è in ottima salute: lo dimostra la curva ascendente del numero dei birrifici, il lentissimo ma costante incremento dei consumi, l’affluenza agli eventi dedicati. Eurhop, per esempio, ha chiuso con un totale di 25mila ingressi (3mila in più dell’edizione passata) divisi nei tre giorni dell’evento: il pubblico sembra apprezzare la formula collaudata del “grande pub – come ci spiega Manuele Colonna, publican selezionatore delle birre in rassegna – dove la linea delle spine sia la più vasta e diversificata possibile, aperta ad accogliere un target ampio e a offrire un’esperienza gustativa con una cura attentissima al servizio”.

Così, tra gli angoli di questo grande, allegro festival gonfio di gente, passando tra l’eccellenza artigianale italiana e le rarità da Stati Uniti, Belgio, Scandinavia, nella cornice monumentale del Salone delle Fontane incastrato tra i maestosi palazzi dell’Eur, ho avuto l’opportunità di scambiare qualche chiacchiera con diversi produttori: appassionati, seri, professionisti, datori di lavoro, contribuenti, imprenditori, alfieri di un comparto florido che impiega 5500 dipendenti in occupazione diretta e ha iniettato nelle casse dell’Erario, nel 2018, con le sole accise oltre 710 milioni di euro.

Alessio Selvaggio mi guida nella storia recente che ha condotto al risultato della scorsa estate: mastro birraio di “Croce di malto” e consigliere nazionale di Unionbirrai, ricorda come “il primo tavolo sulle accise risalga al 2013, quando ancora non eravamo associazione di categoria ma culturale. Sin dall’inizio chiedevamo un’equiparazione con le realtà comunitarie, considerando inoltre che in Italia il vino non paga nessun’accisa”.

I vantaggi di questa riforma sono evidenti, e non solo da un punto di vista strettamente contabile: “Per un’impresa di media dimensione, l’intervento si può quantificare in circa 5% del fatturato – calcola Alessio – utilizzabile in investimenti, crescita, nuove assunzioni, marketing”, ma le ricadute riguardano soprattutto l’idea stessa del birraio artigianale che finalmente può affrancarsi da un modello, “l’one-man show, che fa tutto, per passare a una più spiccata professionalizzazione del mestiere, con un chiaro processo di cambiamento da produttore a imprenditore”.

Gino Perissutti di “Foglie d’erba”, abile creatore di pinte pulite e eleganti con l’apporto dell’acqua delle Dolomiti friulane, mi conferma questa impostazione mentre parla del suo prossimo investimento a seguito della riduzione erariale, “un distillatore di oli essenziali per realizzare birre di territorio con le resine”. Conor Gallagher Deeks produce con “Hilltop” a Bassano, in provincia di Viterbo, e mentre gusto la sua bitter racconta dell’acquisto di nuovi fermentatori prodotti in Italia: “Questo provvedimento è certamente una boccata d’aria per il settore”.

E poi, su e giù per lo Stivale, impegni e propositi di nuove assunzioni, sviluppo, controllo qualità, tagli al listino prezzi: in un concetto solo, una cascata di moltiplicatori per un reparto che spicca nel panorama internazionale e porta occupazione e risorse al fisco. “Il nostro sistema – conclude Selvaggio – ha dimostrato di riuscire a farsi ascoltare dalla politica: dobbiamo impegnarci per ottenere il riconoscimento dei nostri diritti, e con uno sforzo comune possiamo conseguire i nostri obiettivi”.

Intanto, nel Regno Unito tormentato dagli sconquassi post-referendari, un nome affermato come Brewdog non ha esitato a intervenire nel dibattito politico: lo ha fatto a modo suo, confusamente e buttandola in baracca, etichettando una nuova Ipa “My name is (unelected) Boris” e offrendone una bottiglia ai membri del parlamento temporaneamente sospesi dall’iniziativa del premier Johnson poi bocciata dalla Corte Suprema, con l’invito di passare dalle poltrone della House of Commons agli sgabelli dei pub della catena.

Qualcosa di simile era successa all’inizio dell’anno in Usa, a seguito dello shutdown governativo che aveva lasciato 800mila dipendenti pubblici senza paga; un’iniziativa congiunta di operatori del settore aveva raccolto fondi per offrire ai lavoratori federali un migliaio di pinte in attesa del ritorno agli uffici e agli stipendi.

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