“Ci sentiamo distrutti e abbandonati da uno Stato che non ci tutela”. Mario Luzzi, il padre di Fabiana Luzzi, la sedicenne che nel 2013, a Corigliano, in provincia di Cosenza, venne accoltellata 20 volte dal fidanzato 17enne e bruciata mentre era ancora in vita, affida a una lettera inviata al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il suo dolore e quello della sua famiglia dopo aver appreso che il giovane, condannato a 18 anni e 7 mesi di reclusione, ha potuto beneficiare di tre licenze premio a circa tre anni dalla sentenza definitiva.

Le leggi dello Stato, continua l’uomo, “continuano a premiare gli assassini distruggendo ulteriormente le vittime”. Nella missiva, il padre di Fabiana protesta per i permessi ottenuti dal giovane condannato: “A marzo 2016, in Cassazione – si legge – l’assassino fu condannato a 18 anni e 7 mesi di reclusione, una pena ridicola in confronto alla gravità di quello che ha fatto. Adesso, sono venuto a conoscenza che quest’anno, già tre volte, ha ottenuto licenze premio. Tutto questo mette in discussione il significato della parola giustizia. Appena appresa la notizia è stato necessario recarci in ospedale per il forte trauma che abbiamo subito, sapendo di poter ritrovare l’assassino di nostra figlia per strada, dopo soli tre anni dall’emissione della sentenza. Non ci sono parole”.

Era il maggio 2016 quando il corpo carbonizzato della ragazza venne ritrovato nelle campagne intorno a Corigliano. Dopo gli interrogatori, si verrà a sapere che Davide, l’ex fidanzato di un anno più grande, aveva attirato la giovane in una trappola dopo averla convinta ad andare con lui in moto in un luogo appartato per parlare della loro storia. Tra i due inizia una discussione al culmine della quale il ragazzo colpisce più volte, con un coltello, la sedicenne, lasciandola agonizzante. Dopo circa un’ora torna con una tanica di liquido infiammabile che versa addosso alla ragazzina dandole fuoco e procurandole una morte atroce. “Era ancora viva quando le ho dato fuoco”, ha poi confessato davanti agli investigatori.

In primo grado, il tribunale dei minorenni di Catanzaro condannò il ragazzo a 22 anni di reclusione, mentre in appello la pena viene ridotta a 18 anni e 7 mesi, poi confermata dalla Suprema Corte. Durante la reclusione il ragazzo ha tentato più volte il suicidio.

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