Il mercato dell’auto è in drammatico calo, ormai da tempo e non dà segni di svolta, anzi. La crisi è profonda ma pare che nessuno se ne accorga, almeno a guardare le scelte dei governi, le strategie delle case automobilistiche. Tutti ricordiamo le recenti critiche di Fca e VW all’auto elettrica, salvo cambiare completamente rotta dopo pochi mesi. Negli ultimi anni, come dei pugili suonati, i governi sono finiti nell’angolo dove hanno continuato a incassare colpi senza reagire, dando la colpa alle contingenze internazionali, alla crisi produttiva europea in generale, quando – come al solito – le cause delle sonore legnate erano lontane e altrove.

Per molti anni le cause automobilistiche, sotto l’ombrello dei vari Stati nazionali, hanno continuato a macinare profitti senza fare innovazione, a portare a casa guadagni non commisurati agli investimenti, pensando di poter mungere all’infinito la mucca dei consumatori, con un marketing ossessivo, frastornando la clientela e trascinandola ad acquistare modelli alla moda ma di poca sostanza. Mentre il mondo dell’auto veniva rivoluzionato dall’uso dell’elettrico, dalla diffusione delle reti veloci, dalla ricerca di maggiore sicurezza e dall’introduzione di crescenti livelli di guida autonoma, le automobili continuavano ad assomigliare più a una Trabant che a un Iphone. E le industrie automobilistiche arrivavano fino al punto di truccare i dati sull’inquinamento pur di non cambiare e spendere. E ora i nodi sono venuti drammaticamente al pettine.

Così, la presente non è certamente una crisi temporanea di produzione nel settore automobilistico. È un momento di svolta radicale, il mondo che cambia, perché, improvvisamente, di colpo sono venuti a maturazione un insieme di fattori che hanno reso obsoleti dalla mattina alla sera gli antichi pilastri. L’automobile ha perso molto terreno come status symbol. Il mercato ha scoperto che la piena proprietà del mezzo di trasporto individuale è un controsenso superfluo, troppo costoso, inadatto a un mondo in rapidissima evoluzione. Il ciclo della tecnologia del motore a scoppio è giunto alla fine del suo sviluppo e non ha più molto da offrire. Infine i problemi ambientali – autentici o fittizi che siano – hanno preso ad avere rilevanza nelle scelte dei consumatori-lettori.

Il caso illuminante è quello della Norvegia, paese ricchissimo, produttore petrolifero e privo di un’industria automobilistica nazionale. Nel paese scandinavo ormai un auto acquistata su tre è totalmente elettrica ed entro il 2025 le auto a combustibile fossile scompariranno del tutto. Le colonnine e le ricariche sono in ogni angolo, in continuo aumento. A sostegno dell’elettrificazione del parco auto, il governo di Oslo ha offerto la ricarica gratuita dalle colonnine, parcheggi e ingressi nelle città altrimenti a pagamento gratis, esenzione dall’Iva al 25% e dalla sovrattassa che grava invece su tutte le altre autovetture. E poi da ultimo (ma non meno importante) la pressione sociale, che ha reso l’auto elettrica di tendenza, la cosa giusta da fare per rimarcare la supremazia morale scandinava.

Il caso della Norvegia è eloquente, e benché non rappresenti pienamente il mondo come sarà anche dalle nostre parti, segna una tendenza insopprimibile. Altro che crisi del mercato automobilistico siamo di fronte a un tracollo annunciato per miopia imprenditoriale e disattenzione politica.

Ora, anziché lagnarsi del crollo “strutturale” della produzione automobilistica, o piangersi addosso per le scellerate scelte industriali di Fca (che invece di investire nel settore elettrico a suo tempo addirittura, per portare un po’ di spicci agli azionisti, pensò bene di vendere ai giapponesi quel gioiello di tecnologia che era Magneti Marelli), o peggio intervenire con ridicoli incentivi senza un più ampio e duraturo progetto, sarebbe forse il caso che il governo facesse uno sforzo per andare incontro alle reali necessità dei cittadini, per non continuare a far spendere loro denaro inutile, investendo quel che serve per una rapida elettrificazione del parco macchine italiane, per realizzare una capillare rete di approvvigionamento elettrico. Non, al solito, per sovvenzionare, ma con un occhio alla creazione di nuovi posti di lavoro, sostenendo gli investimenti produttivi nei settori collegati (nuove batterie, smaltimento e riciclo delle stesse, ricerca e sviluppo).

Per fare tutto questo, tuttavia bisognerebbe non aver paura di rovesciare i tradizionali equilibri tra i numerosi gruppi economici che campano sull’arretratezza del paese e che – per questo sì – combatteranno fino all’ultimo sangue per difendere i propri privilegi… anche nel caso che la politica italiana si orientasse finalmente nella giusta direzione.

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