La sua immagine e le sue generalità erano finite sui giornali, nei servizi televisivi e su internet con l’accusa di essere un affiliato dell’Isis, che favoriva il terrorismo internazionale con l’arruolamento di combattenti da inviare in Siria. Dopo tre anni di carcere, il macedone Ajhan Veapi, musulmano residente ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, è stato assolto per non aver commesso il fatto dalla corte d’assise d’Appello di Venezia, che ha riesaminato la sua posizione alla luce di una sentenza della Cassazione. E l’imputato può commentare: “Avrei potuto scappare oppure avrei potuto patteggiare. Ma non l’ho fatto perché sono innocente. Nel 2013 ero in cassa integrazione e avevo più tempo da dedicare alla comunità, per questo ho fatto quel viaggio, ma non avrei mai immaginato che quei ragazzi che vedevo ogni tanto volessero andare a combattere in Siria”.

Il riferimento è al viaggio in Bosnia durante il quale contattò e portò in Italia per tenere alcune conferenze Hussein Bilal Bosnic, noto ai servizi segreti di tutta Europa come “l’imam del terrore”. “Finalmente i giudici mi hanno creduto – ha dichiarato Veapi dopo la sentenza – Spero di poter ricominciare a vivere, anche perchè il mio datore di lavoro, un friulano, si è detto disponibile a riprendermi nella sua impresa di costruzioni”. Recriminazioni verso chi lo ha tenuto in carcere? “Non sarà facile dimenticare… Posso capire che carabinieri e magistrati volessero proteggere il Paese: lavorando si può sbagliare e hanno sbagliato. Ecco, non pretendo che mi chiedano scusa, tanto nessuno potrà ridare a me e alla mia famiglia questi anni di sofferenza. Ma vorrei che quelle persone riconoscessero di aver commesso un errore con me”.

L’inchiesta è stata molto complessa e ha ricostruito alcuni arruolamenti che effettivamente ci sono stati. Il bosniaco Ismar Mesinovic, che lavorava come imbianchino a Ponte nelle Alpi (Belluno), partì assieme al figlioletto ed è morto ad Aleppo. Il macedone Munifer Karamaleski, che era muratore a Chies d’Alpago (Belluno) sparì senza lasciare tracce. Ma come i carabinieri del Ros arrivarono a Veapi che fu arrestato il 26 febbraio 2016 e che è rimasto in cella fino a giugno quando è stato rimesso in libertà, con obbligo di dimora ad Azzano decimo? Era consigliere del Centro islamico di Pordenone ed era sotto controllo dal 2014 quando si verificò una prima perquisizione domiciliare. Non erano passati inosservati i suoi contatti con Bosnic, visto che in Bosnia si era recato assieme a Karamaleski. Ma ha sempre negato ogni accusa. In primo grado era stato condannato dal gip di Venezia a 4 anni e 8 mesi, pena confermata in appello. I dubbi erano venuti ai giudici della Cassazione in merito al ruolo effettivo svolto dal muratore. Avendo riscontrato una carenza nella ricostruzione delle precedenti sentenze, avevano disposto un nuovo processo per “colmare le accertate incongruenze e lacune motivazionali”.

Quando Bosnic andò a Pordenone per tenere alcune conferenze al centro islamico, Veapi lo aveva accompagnato in Questura per i rilievi fotografici e dattiloscopici. “Se avessi avuto qualcosa da nascondere, credete davvero che quel giorno avrei portato Bosnic alla Digos?” ha ribadito più volte l’imputato durante l’ultima udienza. E su queste battute si è aperto uno scambio polemico tra il sostituto procuratore generale Giancarlo Buonocore e il difensore, l’avvocato trevigiano Stefano Pietrobon. Il magistrato: “Non è che Riina, se un giorno accompagna Bagarella in caserma, smette di essere Riina”. Il difensore: “Il problema è che bisogna dimostrare che Riina è Riina. In questo processo nessuna prova dimostra che Veapi abbia indottrinato Mesinovic e Karamaleski e che fosse al corrente dell’attività svolta da Bosnic”.

Dopo l’assoluzione, Veapi ha raccontato: “Per la maggior parte dei tre anni e quattro mesi trascorsi in carcere, ero in regime di 41-bis e non potevo incontrare mia moglie e mio figlio”. Dice che lo ha salvato la fede. “In paese la gente mi guarda male, pensano davvero che io sia un terrorista. Invece condanno la violenza, perché l’Islam è una religione di pace”. L’avvocato Pietrobon: “Se l’assoluzione sarà confermata in Cassazione, chiederemo il risarcimento per ingiusta detenzione”.

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